I Naviganti 31: Always On My Mind (racconto su Star Trek: Enterprise)   1 comment

I Naviganti 31 Always On My Mind (alta definizione).jpgDedicato a mia Madre

Rating: PG-13

Genere: Romanzo – avventura

Riassunto: Trip viene richiamato sulla Terra, ma T’Pol non rimane proprio “sola”.

Spoilers: Tutta Enterprise e qualche riferimento qua e là a tutto Star Trek.

Dichiarazioni: “Star Trek: Enterprise” e tutti i suoi personaggi sono proprietà della Paramount e dei suoi autori. Questo è un racconto di fantasia, creato da una fan al solo scopo di intrattenimento e senza scopo di lucro.

Ringraziamenti: per la bellissima copertina ringrazio Giampiero!

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Maybe I didn’t treat you
Quite as good as I should have
Maybe I didn’t love you
Quite as often as I could have
Little things I should have said and done
I just never took the time
You were always on my mind
[Forse non ti ho trattato
Così bene come avrei dovuto
Forse non ti ho amato
Così spesso come avrei potuto
Piccole cose che avrei dovuto dire e fare,
Non ho mai colto il momento giusto
Eri sempre nella mia mente]

(Elvis Presley – “Always On My Mind”)

Quando mia figlia mi chiede di raccontarle qualcosa di suo padre ho sempre qualche storia affascinante dei dieci anni che abbiamo vissuto più o meno insieme sull’Enterprise. Qualche volta T’Mir lo chiede anche a Jonathan o a Trip e poi ci fa notare dove le versioni non sono concordanti.

Non le ho mai raccontato, però, ciò che è successo nell’aprile del 2157.

Trip stava dormendo tranquillamente accanto a me, io ero sveglia a fissarlo alla debole luce di segnalazione…. non ne avevo mai abbastanza di lui. Le labbra perfette incurvate leggermente in un sorriso tranquillo, i capelli spettinati appena più lunghi del solito, le ciglia chiare che si appoggiavano delicatamente sulle guance un po’ abbronzate per il sole che avevamo preso durante i Giochi Sportivi del Settore Carsiano, l’espressione rilassata e dolce. Passavo ore a guardarlo, così come ho passato notti intere a guardare la mia piccola T’Mir, riconoscendo in lei i tratti di Trip, ma anche i miei e quelli dei nostri genitori.

Poi, all’improvviso, suonò il comunicatore. «Archer a Tucker.»

Incanto spezzato.

Io, per usare un’espressione di Trip, voglio un “bene dell’anima” a Jonathan, ma in certi momenti aveva l’inconsapevole capacità di rovinare tutto.

Trip allungò una mano e pestò a vuoto sulla testata del letto. «Csaè?» chiese. In lingua “sto-dormendo” significa “cosa c’è?”.

«Archer a Tucker» ripeté l’interfono. Quando Trip aveva ripreso a dormire, dopo le nostre sedute di neuropressione nella Distesa, mi aveva detto che dormiva “come un ghiro”. In quel periodo, secondo me l’espressione corretta sarebbe stata “come un sasso”. Non dormiva a lungo, circa sette ore a notte, ma durante quel periodo il suo sonno era finalmente riposante e profondo.

Premetti io l’interfono. «Qui T’Pol.» Nessuno ormai si stupiva più se ero io a rispondere al suo posto.

«Trip è lì con lei?»

Non gli risposi direttamente. «Devo svegliarlo?»

«Ho urgente bisogno di parlargli. Gli dica di venire nel mio ufficio tra venti minuti.»

Archer nel suo ufficio alle due di notte? C’era qualcosa che non andava. Non che il capitano avesse problemi a stare alzato durante il turno di notte, l’ha fatto moltissime volte…. ma erano tutte occasioni in cui qualcosa non andava.

Sentii una decelerazione e, guardando fuori dall’oblò, notai che stavamo cambiando rotta. Sospirai leggermente. Mi chinai in avanti e sussurrai il nome di Trip.

«Psnm?» (Questa parola non so ancora cosa voglia dire.)

Gli accarezzai una guancia con il dorso delle dita, mentre parlavo. «Il capitano ti ha convocato nel suo ufficio tra venti minuti.»

«Psì, vmem….» biascicò in risposta. Non credo che avesse capito quello che gli avevo detto, quindi gli diedi un bacio sulla tempia per svegliarlo del tutto. «Devi alzarti.» dissi, con fermezza.

«Ah, di già?» rispose, decisamente più sveglio. Si stirò e si mise a sedere. «Che è successo?»

«Non lo so, ma Archer sembra aver fretta. Vai.» Gli diedi una spinta sulla spalla. «Sbrigati.»

Quello che successe nell’ufficio di Archer e non in mia presenza lo seppi poi dai racconti di altri.

Trip entrò nell’ufficio del capitano senza aver idea di cosa lo aspettasse. Archer era girato verso la finestra e guardava le stelle, decisamente un cattivo segno.

«Capitano?» chiese Trip, con un po’ di paura. «Che succede?»

Jonathan sospirò e si girò verso di lui. «La Challenger sta avendo guai ai motori.»

«Gli ho dato un’occhiata prima di partire.» Tucker accettò l’invito del capitano a sedersi di fronte a lui. «Ho trovato un paio di punti fuori assetto.»

«Sì.» risponde lui. «A prima occhiata, giusto?»

Trip annuì.

«Già.» ribatté Archer, con una vena di rimprovero nella voce. «Qualcuno ha ricordato che il capo ingegnere dell’Enterprise ha sistemato in poche ore alcuni dei problemi che si sono presentati in sala macchine in una toccata e fuga che aveva effettuato pochi giorni prima. Quindi chi meglio del capo ingegnere della nave di bandiera della Flotta può risolvere i problemi?»

Tucker realizzò in quel momento qual era il grosso problema del capitano Archer e perché la sua voce aveva un velato rimprovero. «Quando? E per quanto?» chiese, in tono piatto.

«Abbiamo dovuto fare una deviazione e siamo in rotta di rendez-vous con la Columbia, la quale tra l’altro è di ritorno sulla Terra per un danno allo scafo.»

L’ingegnere scosse la testa. «Quanto tempo?» insistette.

Archer si alzò in piedi, sbuffando. «Tempo indefinito, per ora.» Si girò verso Trip. «Ma ti assicuro che io pretenderò indietro il mio capo ingegnere al più presto possibile.»

Tucker si alzò indietro. «È quel “possibile” che mi preoccupa.»

Archer girò intorno alla scrivania e mise una mano sulla sua spalla. «Ti riavrò qui, è una promessa. Ora torna a dormire, il rendez-vous con la Columbia è previsto per le ore 17.»

Mentre Trip stava per uscire, Archer aggiunse: «La prossima volta che ficcanasi nei motori di un’altra nave, sai cosa rischi.»

Trip tornò nel nostro alloggio senza deviazioni. Io ero completamente sveglia e gli chiesi subito di aggiornarmi.

«Insomma, smanettare su un motore nuovo mi attira e mi piace, ma mi sono arruolato per esplorare, altrimenti avrei fatto altro.»

Sembrava un po’ deluso e io ero, come avrebbe detto F’Ral, “intazzata nera” (naturalmente ancora nessuno le aveva fatto notare l’errore). Sopprimevo quell’emozione al meglio che potevo, sia perché non sarebbe stata utile, sia perché avrebbe influenzato anche lui.

«E Archer dà pure la colpa a me.» continuò Trip. So che il parere di Jonathan è sempre stato molto importante per lui, più di quello di chiunque altro.

«Non è che abbia proprio torto.»

Trip mi fulminò con lo sguardo. «Grazie per l’appoggio!» Sospirò e tornò a sdraiarsi (in uniforme e con gli stivali, ma dopo la mia precedente affermazione era meglio che non glielo facessi notare).

Mi avvicinai a lui e gli misi una gamba piegata sopra le sue e una mano sul petto. «Tornerai qui, saremo io e Archer a pretenderlo. E anche tutti gli altri sulla nave.» Soprattutto perché Kelby, l’unico che forse avrebbe voluto Tucker fuori dai piedi, aveva accettato da qualche tempo il trasferimento sulla Lovell, dove aveva ottenuto, con il grado di comandante, il posto di capo ingegnere (senza dover fare i conti con la fama e la bravura di chi lo aveva preceduto, dato che la Lovell era una piccola nave a curvatura 3 di nuovo varo).

«Sì, e sulla Challenger mi odieranno tutti, quando imporrò il tour de force che ho in mente.» Sorrise, con aria forzatamente cattiva. «Il capitano Dunsel non vedrà l’ora di sbarazzarsi di me, dopo che tutta la sala macchine avrà chiesto trasferimento.»

Lo baciai sulla guancia. «Lo so che non sarà così.»

Lui sospirò. «Quasi.» Si girò leggermente per abbracciarmi. Poi la voce si ammorbidì e sentii la sua irritazione diminuire notevolmente. «No, vabe’, è un incarico che mi attira in parte, non posso dire il contrario.» Mi accarezzò i capelli. «Ma tu mi mancherai, più di chiunque altro.»

Non aveva detto “più di qualsiasi altra cosa”, ma pensai che gli sarei mancata anche più dei motori dell’Enterprise.

La mattina successiva mi alzai presto e, senza dire nulla a nessuno, filai nell’alloggio di F’Ral.

Le spiegai velocemente la situazione. A differenza di quel che si possa pensare, i Caitian riescono a gestire piuttosto bene le emozioni negative. Non danno in escandescenza come gli Andoriani o i Klingon, ma in genere mettono un broncio infinito. E infatti F’Ral rimase ad ascoltarmi tutto il tempo con il mento appoggiato alla sponda del letto e l’aria afflitta. Tra l’altro, l’aria afflitta dei Caitian fa venire voglia di coccolarli.

Conclusi: «Quindi, F’Ral, ho una proposta da farti. Tu potresti andare con lui.»

«Sì, va bene!» esclamò, illuminandosi.

Le esposi il mio piano: avrei convinto Archer a mandare F’Ral con Trip, giustificando la scelta, sia a Tucker che alla Flotta, con la scusa che F’Ral aveva bisogno di fare esperienza. Non avrebbe retto con me, per questo c’era bisogno di F’Ral.

La Caitian, naturalmente, era entusiasta di fare da “passaferri” a Trip, dato che ne era platonicamente ma perdutamente innamorata, e soprattutto si era presa il suo compito di guardiana molto seriamente. Devo dire che F’Ral era sempre entusiasta per tutto. Mi salutò dandomi un bacio gattesco, stampandomi il suo muso, naso fresco compreso, sulla guancia. Penso che solo un paio di anni prima non avrei sopportato atteggiamenti del genere.

F’Ral mi disse: «Lo terrò d’occhio. In due sensi.»

Brava F’Ral. Non mi andava che Trip morisse e non mi andava nemmeno che qualche essere assetato di sesso gli saltasse addosso. Di nuovo.

A colazione, come previsto, convinsi senza troppa fatica i due uomini affinché Tucker si portasse dietro F’Ral. L’incarico per lei era sicuro e praticamente privo di rischi. Archer era spesso sulle spine, quando si trattava della nostra Caitian. Aveva paura che le succedesse qualcosa, sia per lei, sia perché Cait è uno dei pochi pianeti con cui le relazioni stavano andando a gonfie vele e, per di più, erano partite bene.

«Ho solo una domanda.» dissi, contro il mio stesso piano. Una cosa poco logica, ma loro due non sembrarono farci caso. «Avremo indietro il capo ingegnere e il gatto di bordo?» Trip mi aveva detto che le antiche navi di mare imbarcavano gatti per tenere a bada i topi. Addirittura c’erano compagnie assicurative che mettevano, tra le clausole per stipulare il contratto, la presenza di gatti a bordo.

«La Flotta ancora non ha specificato quanto tempo durerà l’incarico…. ma io pretenderò che tornino sull’Enterprise al più presto.»

Trip non mi sembrava troppo sicuro di questo, più tardi mi avrebbe detto che temeva che l’assegnamento a terra sarebbe stato definitivo. In ogni caso, se l’incarico fosse durato più di poche settimane, avrei raggiunto Trip sulla Terra e, rispedita F’Ral a bordo, sarei stata io con lui. Per sempre. A costo di dovermi dimettere dalla Flotta Astrale.

Alle 15:00 Trip aveva finito di preparare la sala macchine per la sua partenza, lasciando Rostov e Hess a dividersi i turni alfa e beta, non avendo il capitano nessuna intenzione di nominare un sostituto, nemmeno temporaneo. «Così posso continuare a dire che non ho il capo ingegnere.»

Io lo aspettavo nei nostri alloggi, con più pelle nuda che vestita. Non c’era nemmeno bisogno di parlare. Saremmo stati lontano a lungo, sentivamo il forte bisogno di stare insieme.

Purtroppo la Columbia fu puntuale al rendez-vous. Ci salutammo lì, nel nostro alloggio, lontano da eventuali occhi indiscreti.

Mi aspettava come minimo un’ora di meditazione per riuscire a riequilibrare le mie emozioni.

Trip mi aveva promesso di chiamarmi o almeno mandarmi posta subspaziale appena ne avesse avuto il tempo e la possibilità, ma sapevo che sarebbe stato molto occupato a “ficcanasare” nei motori della Columbia e che avremmo subito temporanei black out delle comunicazioni, dovuti a interferenze subspaziali, campi gravitazionali, ripetitori fuori uso o fuori portata e amenità del genere che mi facevano sempre più rimpiangere di aver mandato F’Ral con lui, invece di esserci andata io stessa.

Lui mantenne la sua promessa e mi chiamò poco prima di entrare in un periodo di black out che sarebbe durato più di due giorni.

«Stai bene?» gli chiesi.

«Io sì, e tu?»

Annuii non troppo convinta. «Stai dormendo?»

Esitò un istante. «Sai, come sempre, quando mi allontano da te qualche problema a dormire ce l’ho.»

Da me e dai motori dell’Enterprise. «Dormi almeno cinque ore a notte?»

«Ben sei.» Mi sorrise.

Era sufficiente, Trip non aveva mai dormito molto di più in vita sua. Ultimamente riusciva a dormire un tempo leggermente più lungo e, cosa più importante, dormiva profondamente. «Se ci fosse qualsiasi problema, fammi sapere.» continuai. «Ho diverse persone che mi devono dei piaceri su Vulcano.»

«Vuoi dire che faresti arrivare una nave apposta per portarti da me?»

Non risposi direttamente. «Senza me e il capitano Archer il katra di Surak si sarebbe perso e il kir’shara non sarebbe stato ritrovato.»

Lui annuì. «Comincio a ricevere la trasmissione disturbata.»

«Anch’io.» confermai. «Ci risentiamo quando rientriamo nel raggio delle comunicazioni e appena abbiamo tempo, va bene?»

«Certo.»

«Stai smanettando sul motore della Columbia?» chiesi.

Lui rise. «Come l’hai capito?»

La trasmissione svanì in statico. Scossi leggermente la testa. Il capo ingegnere della Columbia l’avrebbe odiato e lui si sarebbe cacciato di nuovo nei guai.

Andai a letto tranquilla e mi addormentai quasi subito. Non avevo la minima idea di quello che sarebbe successo di lì a poco. Nemmeno il più piccolo presentimento.

Due giorni dopo, ero in sala macchine per un piccolo problema software, ignara di tutto quel che stava accadendo fuori di lì, passai la mattinata intera in chiacchiere informatiche (ben mirate, devo dire) con Eleanor Hess.

Nel frattempo, il guardiamarina Hoshi Sato captava un segnale automatico di soccorso, estremamente distorto e debole.

Ogni volta che sentivamo un segnale di soccorso avevamo paura che provenisse da una nave patragana (a T’Mir piacciono molto i racconti sui Patragani). Era sempre un dilemma se rischiare l’Enterprise per soccorrerli o fare finta di niente e partire a curvatura 5 nella direzione opposta.

In quel caso il segnale era così degradato che era appena possibile riceverlo. Non c’era nemmeno possibilità di traduzione, ma Hoshi capì che si trattava di un segnale di soccorso perché ripetitivo.

Archer, naturalmente, ordinò a Mayweather di cambiare rotta. Poiché ero impegnata in sala macchine, fu Reed a notare l’anomalia che svaniva nei pressi della sorgente del segnale, senza però avere il tempo per analizzarla. Riuscì con facilità a recuperare la capsula di salvataggio, una sfera con un paio di parti piatte poste a 120° che permettevano di appoggiarla sul pavimento dell’hangar.

«Un segno di vita.» disse Reed, tenendo lo scanner vicino alla sfera. «Sembra…. umano.»

«Apriamola.» disse Jonathan.

Dovettero lavorare in tre (Archer, Reed e Phlox) sull’apertura per venti minuti buoni, prima che finalmente la parte laterale della sfera si aprisse. Io so per certo che Trip ci avrebbe messo molto meno.

La persona all’interno della capsula era raggomitolata contro la paratia, evidentemente priva di sensi. «Confermo che è umano.» disse Phlox, consultando il tricorder medico. Ma la capsula non era niente che fosse mai stata vista o progettata da Umani o Vulcaniani.

«Tiriamolo fuori di lì.» ordinò Archer, mettendo un piede all’interno nella capsula. Infilò le mani sotto le spalle della forma inconscia e, quando la girò per sollevarla di qualche centimetro, dovette far forza su tutto il suo sangue freddo per non lasciare la presa.

«Ma è Trip!» esclamò Malcolm. «Come è possibile?»

«Ne discuterei più tardi.» propose Phlox. «Il comandante ha diverse ferite che richiedono immediata attenzione.»

Phlox dovette operare Trip per una perforazione polmonare che una costola rotta gli aveva procurato. Aveva diverse altre ferite, lussazioni, lividi, traumi…. ma nessuno di essi era così grave, quindi il medico denobulano preferì attendere qualche ora, prima di operare di nuovo.

Nel frattempo, Archer e Reed avevano discusso su come Trip potesse essere arrivato in quel punto dello spazio su una capsula di salvataggio evidentemente non della Columbia. Era molto lontano dalla rotta prevista dalla NX-02, ma in quei due giorni di black out la nave poteva essere arrivata in quella zona.

Reed tornò sul ponte di comando per indagare assieme a Hoshi, che avrebbe cercato di contattare la Columbia.

Archer mi chiamò, mentre Phlox iniziava le analisi. Entrata in infermeria capii subito che c’era qualcosa di strano. Oltrepassai la tenda bianca e vidi Trip sul lettino, con un grosso livido sotto l’occhio destro, le labbra tagliate, la mano sinistra fasciata dalle dita al gomito e decine di altre contusioni. Percepivo una strana sensazione, che non riuscivo a mettere a fuoco.

«Starà bene.» mi riferì subito Archer. «Phlox lo sta curando…. dovrebbe svegliarsi a breve.»

Annuii, senza dire nulla, e mi avvicinai maggiormente al bioletto. Avevo la sensazione che qualcosa si fosse strappato. «È dimagrito.» fu l’unica cosa che riuscii a constatare ad alta voce.

Nessuno di noi disse altro, rimanemmo seduti, fermi accanto a lui, finché Trip non iniziò a riprendere conoscenza. Archer gli mise una mano sulla spalla, delicatamente, perché Phlox aveva detto che il legamento era stato stirato. «Ehi.»

Trip sbatté le palpebre un paio di volte, prima di mettere a fuoco il viso di Jonathan. «Capitano?» chiese. La sua voce era roca, come se la sua gola fosse secca e irritata. «Sei davvero tu?»

Archer gli sorrise: «Sì, Trip, sono davvero io.»

«Non credevo che ti avrei più rivisto.» Alzò la mano fasciata, lasciando andare una smorfia per il dolore che quel movimento gli aveva procurato.

Archer gli prese la mano. «Tranquillo. Phlox ti sta curando.»

Quando si girò verso di me, sgranò gli occhi. «T’Pol! Oh, com’è bello rivederti, T’Pol!»

Non sapevo di preciso come comportarmi. Aveva le lacrime agli occhi, ma il braccio gli faceva evidentemente troppo male per muoverlo. Così, appoggiai la mia mano sulla sua. «Starai bene.» dissi, un’incerta e stupida frase.

«In quella capsula di salvataggio…. pensavo che sarei morto per davvero!»

«Cos’è successo?»

«La nave…. è esplosa…. credo che siamo stati attaccati…. e…. e loro hanno fatto di tutto per salvarmi e….» Si bloccò, deglutendo a fatica. «Sono morti…. credo che siano morti tutti.»

Notai subito l’espressione preoccupata di Archer: se Trip era finito in una capsula di salvataggio, che fine aveva fatto la Columbia? Che ne era stato di Erika?…. E F’Ral! Stava bene? Il padre di F’Ral era un importante ministro su Cait, se la figlia (la figlia minore!) fosse rimasta ferita, o peggio ancora se fosse morta, in una missione che lui le aveva affidato, potevamo ben immaginarci, come minimo, una chiusura da parte del pianeta natale di F’Ral nei confronti della Terra…. non penso che i Caitian avrebbero dichiarato guerra, ma di sicuro le relazioni non sarebbero rimaste così serene. Oltre al fatto non trascurabile, che tutti, in fondo, eravamo innamorati di F’Ral.

Non facemmo in tempo a dire altro perché, nell’istante in cui Phlox si avvicinò per controllare il suo paziente numero uno, Trip, con uno sforzo immane tra fatica e dolore, si alzò su un gomito e, avvicinandosi ad Archer, esclamò: «Cosa ci fa lui a bordo?!»

Tutti e tre lo guardammo stupiti. «È Phlox.» rispose il capitano, con ovvietà. «È il nostro medico di bordo.»

«Ma è un Denobulano!» Trip faceva evidentemente fatica a stare alzato sul gomito e Archer lo spinse indietro. «Sì, Trip, ma non è cambiato nulla, da quando te ne sei andato.»

«Signor Tucker….» iniziò Phlox, mentre alzava il tricorder.

Fu interrotto da Trip: «Cosa vuole farmi?! No! Mi lasci stare!»

«Trip, ma che diavolo ti prende?!» esclamò Archer. «Phlox è un ottimo medico, l’ho scelto io stesso, ricordi?»

«Perché proprio un Denobulano?!»

Archer alzò lo sguardo su di me, che brancolavo nel buio esattamente come lui.

«Loro hanno attaccato la Terra! Sette milioni di morti, Jon!»

«Erano gli Xindi.» sospirò Jonathan.

«Xindi era il tuo ufficiale medico.» continuò Trip. «Voglio che mi curi lui!»

«Sei confuso.»

«Dov’è Degra?»

«Degra?» ripeté il capitano.

«Il medico di bordo! Il dottor Degra!» insistette Trip.

Io e Jonathan ci scambiamo un’occhiata preoccupata.

«Ah, signor Tucker.» riprese Phlox. «Il dolore che sente al fianco sinistro aumenterà, se non intervengo subito.»

Questo sembrò catturare l’attenzione di Trip. «Che cosa vuol dire?»

«La sua anca sinistra è lussata, se continua a muoversi prima che io la sistemi, potrebbe essere molto difficile farla tornare come prima. E il dolore aumenterà.»

«No.» rispose lui. «Non voglio che mi tocchi.»

A questo punto decisi di intervenire: «Trip, ti fidi di me?»

Lui annuì, convinto.

«Allora puoi fidarti di Phlox.» Girai intorno al bioletto, per lasciare spazio al medico. «Io e il capitano staremo qui.»

Trip annuì non troppo convinto. «Che cosa deve farmi?»

«Le somministrerò un anestetico locale, così da poter rimettere la testa del femore al suo posto con una mossa mirata.» Mentre parlava aveva già premuto l’ipospray sul fianco del suo paziente. Quindi gli spizzicò la pelle, notando che Trip non reagiva. «Non riuscirà a muovere la gamba per una mezz’ora, ma è il risultato dell’anestesia.» Prese la gamba di Trip sotto il ginocchio con la mano destra e fece con sicurezza la mossa per sistemare l’anca.

Potrei giurare che tremarono i vetri in alluminio trasparente all’urlo di Trip. Di sicuro i miei timpani vibrarono in modo doloroso e il mio istinto protettivo verso Trip dovette essere seppellito prontamente, prima che io saltassi alla gola del medico.

«Che diavolo è successo, Phlox?!» urlò Archer, che evidentemente non aveva soppresso un istinto uguale, ma un po’ meno feroce.

«L’anestesia non deve aver funzionato.» rispose il medico. «Non capisco perché!»

«Basta!» urlò Trip, ancora in preda al dolore. «Non voglio che mi tocchi più!»

Archer girò intorno al bioletto e prese Phlox per un braccio, allontanandolo. «Credo che sia meglio che non stia vicino a Trip per qualche tempo.»

«Lo credo anch’io. Comunque l’anca è sistemata. Il dolore passerà a breve.» Phlox s’infilò dietro una serie di scaffali per continuare le analisi.

Trip intanto si stava massaggiando il fianco.

«Come va? Il dolore diminuisce?» chiese Jonathan.

«Vagamente.» bofonchiò lui.

L’interfono ci interruppe: «Sato a capitano Archer.»

«Qui Archer.»

«Ho in linea la Columbia.»

Io e Jonathan ci scambiammo un’occhiata.

«La passi in infermeria.» ordinò. Quindi si rivolse a Trip. «Ora stai tranquillo. Io e T’Pol torniamo tra poco.»

Trip annuì, poi disse: «Ho freddo. Posso avere una coperta?»

«Certo.» raggiunsi velocemente un cassetto sulla paratia, quindi la stesi sopra Trip. «Se riesci, riposa un po’.»

«Sì, credo proprio che dormirò.»

Aveva la voce assonnata e in effetti si addormentò quasi subito.

Quella non era l’unica stranezza che l’avrebbe riguardato.

Archer accese un terminale abbastanza lontano da Trip e subito esclamò: «Erika!»

Sullo schermo c’era un sorridente e rilassato (e per niente morto) capitano Hernandez.

«Jonathan.» sorrise lei. «Mi hai fatto chiamare tu, perché così stupito?»

Archer mi lanciò un’occhiata, ma prima che potesse dire altro, accanto al volto di Erika, apparve quello sorridente di F’Ral. «Ciao, capitano!»

Erika rise e le accarezzò la testa tra le orecchie. «È meravigliosa.» disse. «Capisco perché la rivuoi indietro al più presto.»

«Dove siete?» chiese Archer.

«A poche ore dalla Terra. C’è qualcosa che non va? Mi sembri teso.»

«Il comandante Tucker–?» Non so di preciso cosa stesse per chiedere Jonathan. “Cosa gli è successo?”, forse. Non fece in tempo a terminare la domanda perché nel campo visivo entrò Trip Tucker.

Sì, lui, proprio lui.

«Ehi, capitano. Che succede?» Era in piedi, vivo, bellissimo come sempre e con in mano un’iperchiave. Mi sorrise «Ciao, T’Pol. Ti avrei chiamato a minuti.»

«Sta sistemando la consolle scientifica.» spiegò Erika, sulla cui spalla destra era appoggiata la guancia di F’Ral (che probabilmente era seduta con lei sulla poltrona del capitano). Ricordo che Trip mi aveva riferito che lo stile di comando di Hernandez era leggermente più rigido di quello di Archer. Ma F’Ral doveva aver conquistato facilmente anche lei. «Abbiamo avuto un piccolo problema coi sensori di esplorazione di superficie.»

«Sì, ormai è risolto.» spiegò Trip. Poi ci fissò entrambi. «Ma che vi prende?»

Ci scambiammo uno sguardo, poi Jonathan si rivolse di nuovo a Erika. «Nulla. Avevamo sentito dire che la Columbia…. be’, che era esplosa. Ma è evidente che non è vero.» Lasciò andare un sorriso un po’ forzato. «State lontani da anomalie spazio-temporali.»

Hernandez annuì. «Agli ordini, capitano.»

«E Trip.» continuai io. «Per favore, chiamami appena arrivate sulla Terra, d’accordo?»

Lui mi rivolse quel sorriso con cui mi aveva conquistato. «Certo. A più tardi.»

Chiusa la comunicazione, Archer mi chiese: «Che ne pensa?»

«Nessuna idea.» ammisi.

C’infilammo dietro gli scaffali insieme a Phlox e gli spiegammo la situazione.

«Può dirmi se il Trip che abbiamo qui è più vecchio? Potrebbe venire dal futuro.» propose Jonathan. Questo era il motivo per cui aveva detto a Erika di stare attenta alle anomalie. Se Trip fosse arrivato dal futuro, si sarebbe spiegato il suo peso ridotto, le ferite, l’anomalia che il tenente Reed aveva scorto, quando era apparsa la capsula di salvataggio.

«Posso confrontare i telomeri, daranno un’idea approssimativa….» Aveva già prelevato del sangue a Trip e l’esame non fu lungo. «No, non direi che sia particolarmente più vecchio di quando è partito.»

«Ha scoperto perché l’anestesia ha avuto un effetto solo superficiale?» chiese Archer.

«Ci sto lavorando.»

Io e Archer rimanemmo alcuni minuti a guardare Trip, quel Trip che era sull’Enterprise, che dormiva. Parlavamo sottovoce e ci convincemmo che la Columbia doveva aver incontrato un’anomalia spazio-temporale nelle poche ore che la dividevano dalla Terra, e che F’Ral aveva fatto di tutto, come Tucker ci aveva detto, per metterlo su una scialuppa di salvataggio, probabilmente una che la nave aveva raccattato da qualche parte, un avanzo di un relitto o una capsula espulsa a vuoto.

Forse, con l’avvertimento di Archer, la Columbia non sarebbe esplosa.

Forse.

Devo ammettere, però, che il pensiero terrorizzava entrambi.

Quando, mezz’ora dopo, Archer si era ormai convinto di richiamare la Columbia e chiedere di attenderli per percorrere l’ultima parte del percorso assieme, Trip si risvegliò lamentandosi.

«Che c’è?» gli chiese il capitano.

«Mhm?» Lui sorrise leggermente. «Ah, ciao.» Fece una smorfia. «Mi fa male un po’ tutto, ma fa niente…. ora che sono qui, sto bene.» Si guardò in giro, forse alla ricerca di Phlox, ma senza trovarlo.

«Trip…. mi puoi spiegare esattamente cos’è successo?»

Lui si girò leggermente sul fianco sinistro. «Che intendi?»

«Abbiamo contattato la Columbia.» Archer mi lanciò uno sguardo. «Stanno tutti bene.»

«Lieto di saperlo.» rispose Trip.

«Hai detto che era esplosa.»

Lui cercò di tirarsi su senza riuscire, per cui io mi precipitai a prendere un cuscino e metterglielo dietro la testa. «No…. non ero a bordo della Columbia, ovviamente. Altrimenti l’avresti saputo, no?…. Vero?»

Jonathan scosse la testa. «Non capisco.»

«Credo che mi saresti venuto a riprendere…. Tu non sapevi dov’ero….» Spostò lo sguardo su di me. «Nessuno lo sapeva, giusto? Altrimenti…. sareste di certo venuti a prendermi. Non mi avreste lasciato là….»

Dire che io e Jonathan stavamo andando in confusione era un eufemismo. «Ti ho perso.» ammisi. «Su che nave eri?»

«Sulla Ijimat.»

Al suono di quella parola, dovetti di nuovo reprimere gli ancestrali istinti violenti vulcaniani. Quei quattro fetenti dovevano essere morti da un pezzo. Erano stati i Klingon a far esplodere la loro nave!

«La nave di Iuika e Jelak?» Archer chiese conferma.

Trip annuì, ma si pentì immediatamente della mossa, perché doveva avere un gran mal di testa. «Mi hanno salvato. Se non fosse per loro….» Sospirò. Aveva gli occhi umidi.

–Se non fosse per loro, non avresti avuto una pessima esperienza!– pensai.

«Ti avevano rapito.» continuò Archer.

«No, non sono stati loro. Sono stati Ilidal e Jikkal…. l’hanno fatto per….» La sua voce si ruppe. «Scusate, io….»

«Va tutto bene.» Archer gli passò un fazzoletto. «Ora sei al sicuro.»

Trip annuì. «Lo so, ma a volte è difficile dimenticare quello che quei due stronzetti mi hanno fatto passare.» “Stronzetti” non era esattamente la parola che avrei associato ai Monarchi di Trekapa, ma non feci obiezioni. Poi lui riprese a parlare: «Quel bastardo di Jotal si divertiva a torturarmi. Prima che mi salvassero, è riuscito a rompermi una costola.»

Io e Archer ci scambiammo un’occhiata. Trip adorava Jotal, il quale, tra l’altro, era un bambino minuto ed esile, difficilmente gli avrebbe provocato un tale danno. C’era decisamente qualcosa che non quadrava.

«Trip, quanto sei stato su Trekapa?»

Lui sospirò. «Non lo so. Che giorno è?»

«4 aprile 2157.»

«Ah, dannazione….» Sorrise leggermente. «Sono passati….»

«Venti mesi.» proposi.

«Sì, be’…. possibile.» rispose lui. Si massaggiò lentamente l’anca. «Questa me l’ha tirata fuori posto quella stronzetta di Ilian.»

«Ilian?» chiese Archer.

«La sorella di Jotal.»

Il cui nome, ricordavo bene, era Idian, non Ilian. Qualche tassello cominciava ad andare a posto, nella mia mente. «Trip, come vi siete conosciuti tu e Archer?»

Lui rise. «Scusa, che domanda è?»

«Accontentami, per favore.»

«Jonathan cercava un ingegnere per l’NX-01, quando hanno iniziato a progettarla. A.G. Robinson non mi sopportava e mi ha scaricato a lui dalla Pegasus.»

Archer mi guardò interrogativamente. Poi si rivolse a Trip. «Prima eri stupito di vedere T’Pol. Per quale motivo?»

«Ma siete strani, lo sapete?»

«Non mi hai risposto.» insistette il capitano.

«Be’, ok, ho fatto male i conti. Doveva stare un anno su Vulcano, dopo essersi sposata con Koss. E ormai quell’anno sarà passato.»

«Scusaci un minuto.» Presi Archer per un gomito e ci allontanammo, sotto lo sguardo interrogativo di Trip.

«Che cosa ne pensa?» mi chiese lui.

«Io credo che questo Trip Tucker venga da un altro universo.» Questo sistemava tutto. Le stranezze di Trip, la sua presenza contemporanea qui e sulla Columbia, il dimagrimento, le ferite e soprattutto la mia sensazione che qualcosa con lui fosse fuori posto. Questo non era il mio Trip. Per lo meno, era lui, ma di un altro universo. C’era comunque un legame tra noi, ma era diverso. Era qualcosa che non sapevo ancora interpretare.

Jonathan annuì. «Questo spiegherebbe il nome cambiato di Idian, Jotal che ora è un ragazzino perfido, Iuika e Jelak brave persone…. e tutto il resto.»

Decidemmo di parlarne prima con Phlox, il quale, da bravo scienziato qual è, fece andare tutti i tasselli a posto constatando una biochimica leggermente diversa che sarebbe stato possibile spiegare proprio con un universo simile. Questo era anche il motivo per cui l’anestesia non aveva fatto l’effetto dovuto.

Il mio Trip, quindi, quello di questo universo, non era in immediato pericolo. Stava bene e poteva star bene ancora per anni, indipendentemente dall’uomo ridotto a uno scheletro a brandelli che c’era a pochi metri da me.

Ma nonostante fossero due persone diverse, io sentivo che un legame c’era anche con lui.

Un giorno Trip mi aveva detto che la sua vita non girava tutta intorno a me. Più passava il tempo e più mi rendevo conto che era la mia vita a girare intorno a lui.

Tucker ci guardava stranamente, mentre gli spiegavamo la situazione.

Alla fine disse: «Mi state prendendo in giro. Un pesce d’aprile in ritardo di qualche giorno.»

«No.» Scossi la testa.

Trip non era convinto.

«Conosci di sicuro le teorie degli universi paralleli.» continuai. «Alcune cose che ci hai detto non coincidono con ciò che è successo qui, ad esempio l’attacco alla Terra. Altre sono completamente diverse, come il tuo primo incontro con Archer. Altre sono opposte, come il comportamento di Jotal.»

«Sì, però….»

Le porte dell’infermeria si aprirono e il tenente Reed entrò con un PADD in mano. L’avevamo informato all’interfono poco prima e ci stava portando i pochi dati raccolti sull’anomalia avvistata prima di recuperare la capsula di salvataggio. Oltrepassò la tenda bianca che Phlox aveva tirato oltre il bioletto.

Trip lo vide e il suo colorito si schiarì ulteriormente. «Malcolm?» balbettò. «Sei proprio tu?»

Reed si avvicinò incerto al bioletto. «Sì.»

Tucker lasciò andare una breve risata nervosa. «Io…. io ero sicuro che….. che tu fossi morto.»

Malcolm guardò Archer, poi riportò l’attenzione su di lui. «No, direi che non sono morto.»

«Lo ricordo benissimo.» continuò Tucker. «Hai preso una brutta infezione…. ho cercato di curarti, quando eravamo nello scantinato…. ma sei morto.»

«Su Risa?» chiese Reed. Era l’unico scantinato in cui ricordava di essere stato con lui.

«Su Trekapa!» esclamò Trip.

Malcolm era vagamente sulle spine e non sapeva come comportarsi. «Mi dispiace, ma…. non siamo stati insieme in uno scantinato su Trekapa.»

Trip rimase in silenzio per qualche istante, poi spiegò: «Ci hanno rapito. Sono stati i Monarchi di Trekapa, per i loro due figli. Si divertivano a legarci nello scantinato e a torturarci. Tu hai preso un’infezione e poco tempo dopo sei morto. Hanno cercato di cancellarci la memoria! Noi…. noi facevamo in modo di tenerci vivi i ricordi a vicenda!»

«Trip, ora calmati.» disse Archer. «È evidente che stai parlando del Malcolm Reed del tuo universo.»

Lui chiuse gli occhi e respirò lentamente. «È…. tutto così assurdo.»

«Sì, su questo hai ragione.»

Tucker riaprì gli occhi e guardò Malcolm, sorridendo. «Però…. è bello rivederti!» Alzò la mano sinistra di quel poco che riusciva (il braccio destro era ancora troppo dolorante) e Reed si affrettò a stringergli la mano. «Mi piacerebbe sapere se anche in questo universo facevamo i pazzi assieme come nel mio. Se ti va di parlare un po’….» Probabilmente era ormai convinto. Immagino che la prova che veniva da un altro universo fosse proprio il tenente Reed, vivo davanti a lui.

Malcolm annuì. «Sarà un piacere.» Quindi mi passò il PADD.

«Se Malcolm è vivo,» continuò Trip, spostando l’attenzione sul capitano. «chissà quante cose sono diverse, qui….» Esitò un istante. «Vi va di parlarne?»

«Certo.» Archer fece cenno a Reed di prendersi una sedia.

«Prima di tutto…. io sono vivo? Voglio dire, il Trip Tucker di questo universo è vivo?»

«Sì. Al momento è sulla Terra.»

«Che gli è successo?»

«Ha ficcanasato una volta di troppo nei motori altrui e l’hanno richiamato per una messa a punto dell’NX-03.»

«Che bello!» esclamò. «È un sacco di tempo che non smanetto su un motore…. posso dare un’occhiata qui? Giuro che non toccherò niente.»

«Quando starai meglio, ti faremo fare un giro turistico.»

«E se Malcolm è vivo…. forse è viva anche…. anche la mia famiglia? Voglio dire, loro…. sono vivi? O sono morti nell’attacco alla Terra anche qui?»

«I tuoi erano con la famiglia di Al a Kenmare, durante l’attacco.»

Trip sorrise. «Stanno bene, quindi? Non erano sulla linea dell’attacco, in Florida?»

«I tuoi genitori, tuo fratello e la sua famiglia stanno bene…. Ma purtroppo, Lizzie è morta.»

«Questa cosa non è cambiata….» Si tirò le coperte fino al collo, poi mi guardò. «E…. noi…. voglio dire, siamo andati nella Distesa, giusto? E tu lì mi hai istruito nella pratica della neuropressione.»

«Sì…. esatto.» risposi.

«Così i miei mal di testa sono passati.»

«Insonnia. In questo universo si trattava di insonnia.» specificai.

Restò in silenzio per qualche istante, poi chiese al capitano: «Pensi che i miei…. voglio dire, Gracie e Charlie mi vorrebbero incontrare?»

«Io credo di sì.»

Trip annuì. «E…. potrei rimanere qui, poi?»

«Qui sull’Enterprise?»

«Per cominciare, qui in questo universo. Non ho motivi per tornare nel mio: la mia famiglia è stata sterminata, T’Pol è sposata con Koss, Malcolm è morto…. e credo che ormai tutti gli altri…. be’, ecco…. loro….. si saranno rassegnati alla mia scomparsa.»

Pensavo che gli avrei dovuto dire che ero già impegnata con il Trip di questo universo, ma decisi di rimandare la cattiva notizia.

Archer gli sorrise. «Noi ti accogliamo più che volentieri. Temo però che, una volta che la Flotta Astrale scoprirà che ci sono due Trip Tucker, difficilmente me li lasceranno tenere a bordo entrambi.»

Decidemmo, in ogni caso, di tornare nei pressi del luogo dove l’anomalia era comparsa e poi svanita, per cercare di capire cosa potesse essere successo.

Trip rimase solo in infermeria, dove, più tranquillo, si lasciò avvicinare da Phlox.

«Mi dispiace per come l’ho trattata prima. Le chiedo scusa.»

Il medico annuì. «La sua paura era comprensibile.»

«Ho sempre pensato che sarebbe stato bello avere i Denobulani come alleati. Siete un popolo forte, pieno di risorse e ingegnosità. Peccato che fosse tutta rivolta alle armi. Un popolo di guerrieri.»

«Non in questo universo.» rispose Phlox. «Mi dispiace, ma al momento non posso darle niente per il dolore. La sua biochimica è leggermente diversa. Di poco, ma purtroppo basta quello perché le sostanze non abbiano effetto, o ne abbiano di indesiderati.»

«Non si preoccupi. La capisco. E poi devo ammettere che sto alla grande, rispetto a qualche giorno fa.»

Phlox gli cambiò le bende, quindi controllò le ferite più gravi. «Si direbbe che costola, polmone e anca stiano recuperando molto bene. Credo che in un paio di giorni potrà riprendere a camminare.» Alzò delicatamente il braccio destro senza provocargli dolore. «Queste ferite sui polsi sono già state curate.» constatò.

«Già.» replicò lui. «Dovevano tenermi in vita, se no il divertimento sarebbe finito. Avevano già perso Malcolm.»

Si lasciò medicare in silenzio per qualche minuto. «T’Pol e il Trip di questo universo stanno assieme, vero?» chiese, ad un tratto.

Il medico non rispose. «Mi dispiace, comandante, ma è un’informazione privata.»

«Il che vuol dire sì.» Sorrise. «Quel fortunato figlio di un cane.»

Phlox passò il tricorder vicino alla sua fronte. «C’è un piccolo ematoma subdurale nella zona frontale. Per ora non mi preoccupa, ma dovremo tenerlo d’occhio. Per il resto, dolore a parte, come si sente?»

«Spossato.»

«Purtroppo non posso fare molto, almeno finché non capirò meglio la sua biochimica.»

«Grazie lo stesso, dottore. Erano mesi che non ricevevo adeguate cure mediche.»

Phlox guardò il tricorder. «Mi tolga una curiosità. Sono tutte ferite inflitte da Jotal?»

Trip esitò qualche istante. «Anche da Ilian.» Si toccò la fronte. «Questa credo di essermela fatta cadendo durante l’attacco alla Ijimat. Una nave pesantemente armata dell’esercito dei Monarchi ci stava inseguendo. Ricordo vagamente di essere caduto, durante il combattimento a fuoco, quindi Jelak che mi trascinava mezzo inconscio dentro la capsula di salvataggio. Poi più niente fino a quando sono arrivato qui.»

Il medico girò delicatamente il braccio destro di Trip, controllando un’ustione. «Questa sembra più vecchia.»

«Qualche volta mi opponevo.» rispose lui.

«Per dislocare un femore dall’anca ce ne vuole di forza.»

Tucker rise amaramente. «Non sa quanta forza possono avere due ragazzetti viziati e cattivi, se si mettono d’accordo.»

Trip rimase in infermeria per due giorni.

Nel frattempo io avevo sentito il mio Trip, che era arrivato sano e salvo sulla Terra e stava facendo impazzire la sala macchina della Challenger, imponendo che ogni specifica dettata da lui fosse rispettata al 100%. Trip poteva vantare anni di lavoro sul motore a curvatura 5, quindi nessuno osava opporsi alla sua tirannia. Ero certa che tutti lo odiavano dal profondo del cuore, ma si sarebbero accorti del bene che stava facendo alla Challenger nel momento in cui si sarebbero trovati soli nello spazio profondo.

D’accordo con Archer, gli avevo spiegato la situazione che si era venuta a creare sull’Enterprise.

Alla fine, l’unica cosa che mi aveva chiesto era stata: «Aspetta, non è che poi né tu né Archer non vi sbatterete più per riavermi indietro, eh?»

«Io rivoglio il mio Trip, non quello di un’altra.»

Avevo deciso che mi sarei occupata di Trip prima ancora che Archer me lo chiedesse. Era come se gli dovessi qualcosa, come se dovessi sdebitarmi o farmi perdonare.

Quando entrai in infermeria, Trip si stava mettendo lentamente in piedi. Aveva indosso una tuta azzurro chiaro non marcata, di quelle che era solito usare Sim, e mi fece lo strano effetto di ricordarmelo come una pugnalata al petto. Di Sim avevo amato la dolcezza e la semplicità, maggiori anche di quelle di Trip stesso. Le ritrovavo in quest’uomo, ora.

La sensazione di dolore non svanì nemmeno quando mi sorrise. Aveva lo stesso sorriso dolce del mio Trip, ma velava malamente venti mesi di atroci sofferenze.

Avevo pensato, venti mesi fa, di andare a scovare Ilidal e Jikkal e ucciderli lentamente. Ho sempre pensato che essere vaporizzati dai Klingon fosse stata una morte troppo clemente per loro. Ora avevo la stessa voglia di uccidere Jotal e Ilian, fortunatamente non quelli che io avevo conosciuto.

Ricordavo bene i due ragazzi, in questo universo. Ricordavo benissimo Idian che cercava di comportarsi da seria sovrana del suo pianeta, cercando di darci un benvenuto ufficiale su Trekapa, senza riuscirci, lasciare tutto per correre incontro a Trip. E ricordavo perfettamente Jotal che si buttava tra le sue braccia, stringendosi a lui come se fosse il suo stesso padre, Trip che lo sollevava e gli arruffava i capelli. Vista la natura della nostra missione, non ho avuto molte occasioni di vederlo con bambini…. ma quelle poche volte si è sempre dimostrato bravissimo. Ero già allora convinta che sarebbe stato un ottimo padre. Era difficile immaginare quei due come ragazzi perfidi…. almeno finché non guardavo le ferite di questo Trip.

«Ehi. Phlox mi ha tolto l’endovena.» Il Trip dell’altro universo alzò il braccio, mostrando i lividi lasciati dall’ago attraverso il quale era stato nutrito in quei due giorni. Notai una cicatrice trasversale che sbucava dalle bende sulla mano sinistra.

Lui notò il mio sguardo. «Immagino che il tuo Trip non abbia tutte queste cicatrici.»

Mi avvicinai a lui e lo aiutai ad abbassarsi la manica della tuta. Lo stiramento al legamento della spalla ancora gli impediva di effettuare alcuni movimenti. «No, in effetti no. Penso che Phlox troverà il modo per eliminarle.»

«Mi porti a pranzo? Ho una gran voglia di….» Si bloccò e rise. «Chissà, magari qui nemmeno mi piace.»

«Pescegatto?»

Trip annuì. «Certe cose non cambiano, eh?»

Andammo in sala mensa, deserta a quell’ora. Avevo scelto apposta quel momento, perché sapevo che l’intero equipaggio sarebbe stato troppo incuriosito dalla sua presenza. Erano stati informati della situazione, ma preferivo comunque, per ora, evitarli. Mi chiesi, dopo qualche giorno che il mio Trip lavorava sulla Challenger, come l’avrebbero presa trovandosene due a bordo. Probabilmente qualcuno avrebbe dato le dimissioni dalla Flotta, in preda alla disperazione. Trip sapeva farsi amare, ma in sala macchine pretendeva molto da tutti.

Aiutai Trip a tagliare il pescegatto, come lui aveva aiutato me con una pizza un paio di anni prima.

«È più buono di come lo ricordavo.» disse. «O chissà, magari il gusto è un po’ diverso qui.» Mi sorrise. «Ti ringrazio per quello che fai per me. Non dev’essere facile, per te.»

In realtà, al di là dell’ovvia confusione che una situazione di quel tipo poteva generare, non mi sentivo a disagio e glielo spiegai. L’unico problema, che omisi di dirgli, è che il suo aspetto malconcio e l’atteggiamento dimesso mi facevano venire voglia di baciarlo e coccolarlo, e dovevo spesso ricordare a me stessa che quello non era il mio Trip.

Naturalmente come dolce avevo chiesto al cuoco di preparare la torta di noci pecan.

«Il nostro dolce.» Mi sorrise. «Te ne ho offerta una fetta, a pochi mesi dall’inizio della missione…. più o meno a questo tavolo.»

Annuii. «È successo anche in questo universo.»

«Ti era piaciuta anche qui?»

Esitai, perché aveva un aspetto così sofferente che mi spiaceva anche solo dirgli qualcosa che non si aspettava, ma poi risposi: «Non l’ho accettata.»

«Però ora la mangi.» Lo stesso bel carattere del mio Trip. Quello che, dopo che l’ho fatto passare per una cavia da laboratorio sessuale, mi ha proposto di continuare a fare le sedute di neuropressione.

«L’ho presa la sera dopo.»

Lui mi sorrise. «Dimmi una cosa: anche in questo universo sei figlia unica?»

«Sì.» risposi.

Mentivo, da qualche mese avevo scoperto di avere una sorella da parte di padre, T’Murr, la quale avrebbe saputo che ero sua sorella solo di lì a quattro anni. Tavek, nostro padre (che ai tempi in cui era solo mio padre si chiamava Lorian), doveva lasciarla sola su Flora IV per venire a trovare me e mia figlia e aveva deciso che era il momento di rivelarle la verità. Pronto all’esplosione di rabbia che poteva seguire, aveva messo T’Murr davanti a una fetta di torta con crema e fragole e le aveva spiegato la situazione.

T’Murr l’aveva fissato per qualche secondo, prima di dire: «Non ci posso credere.» Aveva guardato la torta, poi suo padre, che stava per dirle qualcosa del tipo “non te l’ho detto perché dovevo proteggervi entrambe, cerca di capire”, ma non aveva fatto in tempo. T’Murr aveva urlato, piena di felicità: «Io ho una sorella! Ed è T’Pol! Questa è la notizia più bella del mondo!» Visto che la figlia era in vena di prendere bene le novità, Tavek aveva anche approfittato per spiegarle che in realtà sua madre non era morta in missione sulla nave Ti’Mur, ma che aveva risolto un suo pon farr, incastrandolo ben bene.

La ragazza rispose semplicemente che sapeva benissimo che sua madre non era il mito che lui le aveva sempre raccontato, perché certe cose si “sentono a pelle”, soprattutto quando tuo padre ti cresce con l’olozikahik-porsen. A quel punto, gli comunicò che sarebbe venuta con lui su P’Jam per incontrare sua sorella e sua nipote, indipendentemente dalle proteste di Tavek. Dire che zia e nipote andavano d’accordo era un eufemismo. Si alleavano contro me e mio padre. Ma era divertente.

«Peccato.» disse il Trip dell’altro universo. «Se avessi avuto una sorella, potevi present….» Non fece in tempo a finire la frase, perché iniziò a vomitare.

Io mi affrettai al suo fianco, mentre lui, istintivamente, si tirava le braccia sopra la testa.

«Tranquillo.» sussurrai, mettendogli una mano sulla spalla. «Probabilmente il tuo stomaco deve riabituarsi al cibo solido.»

«Scusa.» bisbigliò, abbassando le braccia. «L’ultima volta che ho vomitato, me l’hanno fatta pagare.» Un ultimo conato gli liberò completamente lo stomaco.

«È meglio tornare in infermeria.» proposi.

«Sì, credo sia meglio.»

Lo aiutai a mettersi in piedi, notando che trasaliva per tutti i dolori che ancora invadevano il suo corpo.

«Sai…. questo è il primo contatto umano da mesi, ormai.» constatò, mentre camminavamo (zoppicando) nei corridoi.

«Non sono umana.» gli feci notare.

Lui rise. «Già, a volte me ne dimentico.»

Sì, anche al mio Trip capitava. E anche ad altri sull’Enterprise. Forse è stato Travis Mayweather il primo a dimenticarsene, quando, risalito da Risa con una gamba rotta, mi chiese se ero mai stata in un ospedale alieno. Spesso Archer si era riferito ai Vulcaniani come “loro” e non come “voi”. Da qualche tempo ho iniziato a pensare che questo sia un modo terrestre per considerarmi una di loro. Più che considerarci tutti “umani”, avevano cominciato a considerarci tutti “umanoidi”.

Phlox ci accolse in infermeria non proprio contento dell’accaduto. Dovette rimettere la flebo a Tucker, usando un ago che mi fece venire i brividi. Trip, la cui controparte di questo universo mi aveva detto un paio di volte di odiare profondamente gli aghi e di adorare con la stessa profondità l’inventore dell’ipospray, non fece una piega, quando Phlox gli bucò la vena sul braccio destro, là dove si vedeva una cicatrice che pareva l’impronta di una catena.

«Dovrò fare altre analisi.» disse il medico.

«Non dolorose, spero.» feci io. Non volevo che questo Trip dovesse soffrire ancora.

«Potete stare tranquilli. Devo solo fare un altro prelievo di sangue, ma userò un ipospray.»

«Non importa , doc.» rispose Trip. «Faccia quello che deve. Tutto questo è una passeggiata.» Doveva essere vero, per quel che potevo vedere. Phlox non mi aveva specificato esattamente quali e quanti problemi aveva dovuto risolvere, ma sapevo che c’erano anche alcune infezioni, che, allo stato attuale, non erano facili da debellare. Non credo che lo disse nemmeno a Trip, considerato quel che aveva detto riguardo al Reed del suo universo.

Immagino, però, che fosse consapevole di diversi suoi problemi, visto che la tortura era finita, ma lui continuava a provare dolore.

«Posso lasciarle l’ago nel braccio.» propose Phlox, una volta che il “pasto quotidiano” fu terminato. «Ma dovrà stare attento a non strapparselo.»

«Era in programma una visita alla sala macchine, no?» mi chiese.

Io annuii. «Appena il dottore darà il suo benestare.»

«Per me va bene.» rispose Phlox.

«Allora, doc, mi tolga l’ago. Preferisco che mi ribuchi, piuttosto che dover stare attento.»

«Come vuole.»

«Le dà fastidio se la chiamo “doc”?»

«Anche il nostro comandante Tucker lo fa.» Il Denubolano sorrise e appiccicò un cerotto sul suo braccio. «Può andare.»

Devo ammettere che anche a Trip non piaceva dover stare attento a ogni movimento e non so cosa avrebbe scelto tra quello e il dover essere bucato a ogni pasto.

In sala macchine c’era Hess che faceva le veci di Tucker.

«Ellie!» la salutò allegramente Trip.

«Comandante Tucker.» rispose lei, sorridendo. So per certo che il mio Trip e Hess si davano del tu, ma non sottolineai la cosa.

«È bello rivederti. Come stanno i motori?»

«Lavorano alla perfezione.»

Trip chiese se poteva dare un’occhiata ai monitor. «È tutto così uguale.» constatò. «Eppure c’è la sensazione che sia diverso.»

Era la stessa cosa per me. Questo Trip era così uguale al mio, ma allo stesso tempo diverso.

Rimanemmo in sala macchine per diverso tempo, Trip riuscì a dare un aiuto a Hess con le subroutine di reinstradamento laterale, dimostrando di avere le stesse capacità del nostro comandante Tucker. Sarebbe stato fantastico, in effetti, avere due Trip a bordo.

Eravamo tranquilli e pacifici, quando un colpo scosse la nave.

L'”allarme Reed” fece i suoi squilli, richiamando gli ufficiali superiori ai propri posti.

Non ci pensai su molto, dissi a Trip di rimanere in sala macchine e uscii di corsa, mentre altri colpi scuotevano la nave. Arrivai in plancia mentre Reed stava comunicando che gli scudi reggevano.

«Hoshi?» Archer si girò verso l’ufficiale alle comunicazioni.

«Ci siamo!» esclamò Sato, passando la comunicazione sullo schermo.

L’immagine di una nave grande poco meno della metà dell’Enterprise venne sostituita dal volto adirato di un alieno dai tratti rigidi, i capelli di uno strano color violaceo che restavano ritti sulla testa.

«Perché ci sta attaccando?» chiese Archer, duramente.

La voce che ci rispose era ridicolmente acuta, come se l’alieno avesse respirato elio (scoprimmo in seguito che, in effetti, era davvero così, quegli alieni respiravano elio). «Siete nel nostro spazio militare!»

«Non lo sapevamo e di questo vi chiedo scusa. Non abbiamo intenzioni ostili. Stiamo cercando di studiare un fenomeno che abbiamo avvistato alcuni giorni fa in questa zona.»

L’alieno fissò Archer. «Non abbiamo rivelato alcun fenomeno. E se davvero non avete intenzioni ostili, indietreggiate di cinquecentomila chilometri o riapriremo il fuoco.»

«Cinquecentomila chilometri?» chiese Archer, stupito. Era poco meno del doppio della distanza media tra la Terra e la Luna. Era pochissimo, per una nave come l’Enterprise. Poi si rivolse a Travis: «Signor Mayweather, allontaniamoci.»

Poi tornò a parlare con l’alieno: «Possiamo restare qui, adesso, per studiare il fenomeno di cui le dicevo?»

«Siete in spazio neutrale ora.» rispose lui. «Potete rimanere quanto volete. Ma il fenomeno a quali coordinate si è manifestato?»

Archer mi ordinò di inviare le coordinate richieste. Non ero sicura che fosse una buona idea, ma obbedii.

«Anche queste coordinate sono nello spazio neutrale.» rispose l’alieno.

«Avete per caso dati che potete condividere con noi?»

L’alieno esitò un istante a rispondere, poi disse: «Questa è una nave di pattuglia, non abbiamo informazioni scientifiche. Proverò a mettermi in contatto con la postazione scientifica più vicina e vi farò sapere. Ma per favore, non tornate nella nostra zona!»

«Potreste mettere una boa di segnalazione.» ribatté Archer.

«Ma la boa c’è!» L’alieno si girò verso il suo ufficiale alle comunicazioni e chiese di mandarci le coordinate della boa.

«Ah, generale….» rispose una vocetta dello stesso tipo. «La boa non c’è più.»

«Non c’è più?! Come non c’è più?! Che tyzzabotreia vuol dire che non c’è più?» Iniziò a urlare ordini in giro, poi a un tratto il traduttore smise completamente di tradurre quello che stava dicendo.

Archer si girò verso Hoshi, lanciandole uno sguardo interrogativo.

«Parolacce, immagino.» spiegò la linguista.

Poi l’alieno tornò a parlare con Archer. «Errore nostro. Spero che la vostra nave non abbia subito danni.»

Il capitano scosse la testa. «Nessun danno. Voi?»

«Non preoccupatevene. Vi porgo le mie scuse. Vi inviamo una mappa del nostro spazio militare. Se ne starete al di fuori, non ci saranno altri problemi.»

Jonathan mi guardò e io annuii. Lo spazio militare era abbastanza lontano da dove era apparsa e poi scomparsa l’anomalia da non creare alcun problema, nonostante avesse una forma così strana da ricordare un frattale tridimensionale.

«Grazie.» rispose il capitano. «Possiamo prestarvi assistenza per i vostri danni?»

«Non ce n’è bisogno, grazie. Penso che vi abbiamo già arrecato abbastanza disturbo.» Poi si rivolse al suo ufficiale tattico. «Rimettete in linea quella posdiattanmiathigatoaania di boa!»

«Rimarremo in questa posizione per un po’ di tempo.» Comunicò Archer.

«Vi faremo sapere se abbiamo dati.» La trasmissione venne interrotta.

Archer scosse la testa. «Hoshi? Feriti?»

Sato scosse la testa. «Nessuno, ma…. il tenente Hess sta chiamando dalla sala macchine.» Mi guardò e in quel momento realizzai che Trip doveva essere ancora in attesa che io tornassi a prenderlo.

«È per lei, dice che è urgente.»

Durante l’attacco, Trip era uscito, spaventato, dalla sala macchine. Nessuno aveva avuto il tempo di seguirlo, ma finito l’attacco non erano riusciti a trovarlo.

Avevamo setacciato la nave con i sensori, ma, com’era immaginabile, Trip aveva segni di vita umani e non era possibile distinguerlo dagli altri.

Per non spaventarlo, una volta che l’avessimo trovato, ci eravamo messi alla sua ricerca solo io, Archer e Reed. Girammo per venti minuti buoni per la nave, ognuno di noi seguendo una strada diversa, finché non ci ritrovammo a un incrocio.

«Ancora niente.» comunicò Reed.

Anch’io scossi la testa.

Ma Archer sembrava distratto. «Aspettate.» disse. Camminò lentamente verso una nicchia sul fondo del corridoio, un anfratto corrispondente al fondo della sala macchine. Ci eravamo passati davanti tutti e tre almeno due volte. Non c’erano rumori, quindi non sapevo cosa avesse attirato l’attenzione di Archer. Si chinò e aprì lentamente il pannello, che ruotò sui cardini rivelando un posticino in cui ci si poteva stare a malapena in due.

Tucker era dentro di esso, rannicchiato contro la paratia interna.

«Trip.» sussurrò Jonathan. «È finito. È stato solo un malinteso.» Allungò un braccio e sfiorò la manica della sua tuta.

«No, vi prego no….» sussurrò Trip. «Vi prego, basta…. basta….» Tremava e piangeva, una vista che stava spezzando persino il mio cuore vulcaniano. E forse non solo perché si trattava di Trip.

Archer si sporse leggermente, quindi si allungò in avanti e trascinò Tucker fuori dalla nicchia.

«No…. per favore, no….» Non opponeva resistenza, ma terribilmente spaventato.

«Shhhh….» sussurrò Archer, mentre lo circondava con un abbraccio protettivo. «Stai tranquillo. Non voglio farti male. Nessuno sta più attaccando la nave. Sei al sicuro.»

Trip rimaneva rigido, rannicchiato, con le braccia sul petto, mentre il capitano lo stringeva a sé.

«È solo un attacco di panico, vedrai che ora passa.»

Mi inginocchiai vicino a loro, mentre Reed rimaneva in piedi contro la paratia, controllando che nessuno passasse di lì a gettare paglia sul fuoco.

Passò un quarto d’ora, poi Tucker, lentamente, sembrò calmarsi, ma nel frattempo aveva stretto nella mano la manica dell’uniforme di Archer, facendo intendere perfettamente di non voler lasciare quella posizione sicura.

Fu lui a riprendere a parlare. «Perché?» sussurrò.

«Non lo so.» rispose Archer. «Non so perché tutto questo sia capitato proprio a te.»

«No…. perché non sei venuto a prendermi?» La voce di Trip era appena percettibile ed era ancora piena di lacrime. «Perché non mi hai salvato?»

Questa volta il capitano non rispose.

«Eravamo amici…. mi hai preso come capo ingegnere, ti ho insegnato a fare le immersioni alle Florida Keys…. Abbiamo fatto la sopravvivenza in Australia e siamo stati in vacanza su Risa insieme…. So che eri arrabbiato con me, lo so….»

«Trip….» sussurrò Archer, cercando di calmarlo strofinando una mano sulle sue spalle. «Non ero arrabbiato….»

«Eri incazzatissimo…. e avevi ragione…. è stata colpa mia, solo colpa mia….»

«No, stai tranquillo, non è colpa tua.»

«Era gravissimo…. sì, era terribile…. lei è morta per colpa mia….» Piangeva, singhiozzava e parlava ad un volume di voce che a stento si riusciva a sentire.

«Lei?» chiese Archer.

«La cogenitrice…. si è suicidata, per colpa mia…. è successo per colpa mia. Eri così arrabbiato con me….»

«Trip, no…. stai tranquillo.» Era evidente che il nostro (o meglio, in questo caso loro) incontro coi Vissiani doveva essere avvenuto almeno due anni più tardi.

«Lei si è ammazzata, per colpa mia…. ho sbagliato e lo so che eri arrabbiato con me…. e avevi ragione, è stata colpa mia…. È per questo che non sei venuto a prendermi? È per questo che mi hai lasciato su Trekapa?»

«No, Trip, no…. non è stato così, di sicuro non è andata così.»

«No. È stata colpa di T’Pol.» affermai io. «In questo universo sono stata io a ricordare e capire che i Monarchi avevano sondato le nostre menti, invece nel tuo universo T’Pol era su Vulcano. La presenza a bordo di Malcolm di sicuro ha aiutato, mentre nel tuo caso, lui era con te. E infine, Idian, che ci ha aiutato a farti fuggire.»

Trip, che era rimasto con la testa appoggiata alla spalla di Archer, mi guardava. «Quanto tempo?»

«Che cosa?»

«Quanto tempo, qui, Trip è stato in mano loro?»

«Circa un mese.»

Esitò un istante, poi chiese: «Ha sofferto molto?»

«No. È stato diverso, qui. Jotal e Idian sono due ragazzi buonissimi.» Era inutile stare a dirgli ora che invece i Monarchi e i loro due consiglieri erano invece infide carogne degenerate. E fortunatamente, proprio grazie a Idian, il mio Trip non aveva sofferto troppo.

Finalmente si rilassò un po’ e disse: «Quel figlio di un cane ha tutte le fortune.» Alzò lo sguardo su Archer. «Scusa, capitano…. mi dispiace, non volevo accusarti.»

«Stai tranquillo.» Jonathan si tirò in piedi, aiutando Trip ad alzarsi a sua volta. «Ce la fai?»

«Credo di sì…. ci hanno attaccato per colpa mia? Volevano riprendermi?»

«No, no, siamo entrati per sbaglio in una zona militare, ma ora è tutto a posto.»

«Non era la milizia di Trekapa?»

«No. Tu non c’entri.» Archer mise un braccio intorno alle spalle di Tucker. «Andiamo, ti assegno un alloggio vicino all’infermeria, così potrai stare un po’ tranquillo.» Il capitano mandò Reed in plancia a sostituirlo e me all’approvvigionamento a prendere della biancheria.

Portò Trip, che faticava ad appoggiare la gamba sinistra per il dolore all’anca, nel piccolo alloggio. C’era un bagno attrezzato, ma minimo, due letti paralleli e due armadietti. «Siediti.»

Tucker obbedì e si sedette su uno dei due letti. Non c’era oblò e non c’era nulla guardare. Tenne lo sguardo basso, mentre Archer gli portava un bicchiere d’acqua.

«Va meglio?»

Lui annuì e bevve. «Grazie. Io…. sono imbarazzato per quel che è successo.»

«Non devi.» Restò a guardare Trip per qualche secondo, poi disse: «Vuoi parlare un po’?»

Alzò lo sguardo, incerto. «Di cosa?» sussurrò.

«Di tutto quello che vuoi.» Gli prese la mano destra, girandola con il palmo verso l’alto. Coprì delicatamente le linee dritte e bianche sul polso. «Di queste, se vuoi.»

«Davvero non sei arrabbiato con me, per la storia della cogenitrice?»

Archer esitò. «Al momento lo ero, non posso negarlo.» Sospirò. «Ma qui sono passati…. quattro anni, Trip.»

«Quando io e Malcolm siamo stati rapiti, avevo appena combinato quel casino con la cogenitrice…. Finché Malcolm era vivo, ho pensato che sareste…. sarebbero venuti a cercarci…. dopo che lui è morto, ho capito che Archer mi aveva abbandonato…. era troppo arrabbiato con me….»

«Non penso che possa essersi arrabbiato più me.»

Tucker rimase in silenzio per qualche istante, poi proseguì: «La cogenitrice si era innamorata di me. Abbiamo avuto una breve relazione.»

«Ok, hai incasinato le cose un po’ più del Trip di questo universo.»

«Per questo mi merito di essere stato abbandonato…. mi merito quello che Jotal e Ilian mi hanno fatto.»

Jonathan scosse la testa. «No. Nessuno si merita quello che ti è successo e tanto meno tu.» Gli mise un braccio intorno alle spalle, mentre osservava le cicatrici sui suoi polsi. «Io non posso parlare per l’Archer del tuo universo, ma posso parlare per me: non sono arrabbiato con te e sono qui per aiutarti.»

In quel momento entrai io, con una pila di lenzuola, salviette, vestiti. Archer si alzò per venirmi ad aiutare. Appoggiammo tutto accanto a Trip e selezionammo lenzuola e coperte per sistemare il letto di fronte. Tucker si alzò per aiutarci, ma quasi cadde a terra per il dolore.

«No, stai seduto.» Archer lo spinse delicatamente indietro. «Ci pensiamo io e T’Pol.»

Dopo aver finito in fretta di fare il letto, il capitano si girò verso Trip, che era rimasto seduto in paziente attesa. Mi chiesi per quanto tempo era rimasto ad aspettare che qualcosa succedesse, durante la sua prigionia.

«Bene, è il momento di cambiarti.» disse Archer. «Fai da solo?»

«Sì….» rispose, con voce incerta. Aveva le mani che ancora tremavano e di certo sentiva dolori ancora molto forti.

«Possiamo aiutarti?» sussurrai.

Lui mi guardò per qualche secondo, poi abbassò lo sguardo e annuì.

Iniziammo a sfilargli i vestiti, cercando di fare velocemente e senza toccarlo troppo. Lui si lasciò fare tutto docilmente, nonostante ero certa che gli facessimo involontariamente male con alcuni movimenti. I vestiti erano sporchi e sudati, ma quello che nascondevano era ben più preoccupante. Aveva cicatrici di frustate su schiena e petto, segni di catene e corde su polsi e caviglie. Aveva tagli e lividi ovunque. Alcuni erano coperti dalle bende che aveva messo Phlox, ma altri attendevano una guarigione naturale.

Mentre finivamo di vestirlo, Trip si aggrappava alle braccia di Jonathan come se avesse paura di essere inghiottito nel vuoto dello spazio.

«Ok, ora sdraiati.» Il capitano gli rimboccò le coperte. «Cerca di risposare un po’, devo parlare un minuto con T’Pol, poi torno.»

Trip annuì, si tirò le coperte fin quasi sopra la testa e chiuse gli occhi. Ora sembrava tranquillo.

Archer mi fece cenno di uscire e riprese a parlare solo quando la porta si chiuse alle nostre spalle. «Ha notato le cicatrici?»

«Molte.» risposi, con tono piatto. Volevo uccidere qualcuno.

«Sì, ma in particolare intendo quelle sui polsi.»

«Sui polsi?»

«Vecchie di un mese, direi.» continuò il capitano. «Sottili, piuttosto irregolari, come se fossero state fatte da una mano che trema.»

«Pensa che Trip abbia tentato di tagliarsi le vene?» tagliai corto.

«Ne sono praticamente certo.»

«Se le cicatrici sono vecchie, è probabile che Trip non abbia più quell’idea.»

«È probabile, ma non voglio rischiare.» continuò lui. «Non dovremo mai lasciarlo solo. Dovrà sempre sentirsi al sicuro.»

«Concordo.» risposi. «Starò con lui adesso.»

Ma Archer scosse la testa. «È meglio che dorma io qui, stanotte.»

Capii al volo quello che intendeva: io ero ormai la fidanzata ufficiale del Trip del nostro universo, passare troppo tempo assieme a “quest’altro” Trip, soprattutto chiusa in un alloggio di notte, non era opportuno.

«Ho bisogno che torni alle analisi dell’anomalia che ha portato qui Trip.» continuò. «Ma ho anche bisogno che mediti e si riposi.»

«Sì, capitano.»

«Può andare.»

Sentivo tremendamente la mancanza di Trip. Del mio Trip.

[NdM: la relazione tra Trip e la cogenitrice è ispirata all’episodio “The Outcast (5×17 – The Next Generation)”. Il riferimento al cogenitore come “la cogenitrice” è dovuto al fatto che, in lingua originale, Trip usa sempre il pronome femminile per riferirsi al cogenitore.]

Quella fu una notte di inferno per tutti e quattro, Reed compreso, che era rimasto sul ponte per controllare che i bellicosi alieni non decidessero d’un tratto di ingrandire il loro spazio militare inglobando l’Enterprise.

Io, nonostante l’ora abbondante di meditazione, feci incubi tutta la notte. Forse erano occhiate nell’universo da cui veniva questo Trip, che lui mi aveva passato telepaticamente per contatto. (E poi la gente si chiede perché noi Vulcaniani non amiamo essere toccati!)

Vidi le torture a cui era stato sottoposto, gli ambienti bui, freddi e malsani, percepii la perdita di speranza e la sofferenza.

Anche Trip fu perseguitato da incubi che non permisero (né a lui, né ad Archer) un sonno tranquillo e riposante. Più volte il capitano aveva provato a tranquillizzare il suo capo ingegnere di un altro universo, ma era difficile gestire quello che gli avevano fatto.

Quando la mattina successiva arrivai, Archer era in piedi accanto a Phlox, che stava esaminando Trip con un tricorder.

«Le ferite faticano molto a guarire.» stava dicendo il medico. «Ma è naturale, nelle sue condizioni fisiche.»

Benissimo: io avrei trovato la porta per l’altro universo, sarei andata là, avrei rapito i due stronzetti, li avrei portati in questo universo e li avrei dati in pasto ai Klingon. Naturalmente, quest’ultima cosa solo dopo averli torturati io stessa. Mi imposi di calmarmi e lanciai un’occhiata a un vassoio sul quale c’era una ciotola piena di una pappetta bianca, un bicchiere e una bottiglia d’acqua.

«Phlox ha scoperto che non è stato un problema di abitudine al cibo.» Archer rispose alla mia domanda implicita. «Sembrerebbe che la struttura molecolare diversa di Trip non gli permetta di assimilare alcuni dei nostri cibi.»

«Ho trovato, però,» proseguì il medico. «un supplemento nutrizionale la cui molecola è compatibile con la sua biologia. Questo non darà problemi.» Passò il vassoio a Trip, che lo prese e iniziò a mangiare su invito del medico.

«È buono.» disse.

Jonathan rise. «Devi proprio essere affamato.»

I due uomini uscirono dall’alloggio, lasciando a me il compito di tenere compagnia a Trip. Era un compito piacevole, nonostante Trip ne avesse passate di tutti i colori, il suo carattere solare e dolce veniva ancora a galla.

Sistemai il letto di Archer e mi ci sedetti, appoggiando la schiena alla paratia. «Cosa vuoi fare oggi?»

«Sarai impegnata.» mi rispose lui. «Posso stare qui a…. vegetare da solo.»

Alzai il PADD a connessione veloce. «Posso analizzare i dati da questo, mentre sto qui con te. Oppure preferisci andare da qualche parte?»

«No…. no, preferisco stare qui.» recuperò una coperta e se la avvolse intorno alle spalle. «Posso chiederti una cosa?»

Annuii.

«Mi piacerebbe sapere se il nostro primo incontro qui…. voglio dire, il tuo primo contro con il Trip di questo universo è stato uguale.»

Abbassai lo sguardo sulla coperta. «Quando sono salita a bordo per presentarmi a servizio dal capitano Archer, sono entrata nel suo ufficio e tu eri alle mie spalle. Archer ci ha presentato.»

«E io ti ho teso la mano, ma tu non me l’hai stretta.» rise. «Ma quello è il secondo incontro.»

«Secondo?» chiesi. «No, in questo universo è stata la prima volta che ti ho visto.»

«Nel mio, tu non ti ricordavi del primo….» Mi guardò. «Forse qui non è nemmeno avvenuto. Eri uscita di nascosto dal campo vulcaniano…. eri curiosa di vedere come si divertivano gli Umani. Io, Archer e alcuni altri eravamo al 602 a festeggiare l’inizio dei lavori per la costruzione nell’NX-01…. Tu sei entrata per prendere un tè. A me è caduto un calibro laser, con cui stavo riparando il comunicatore di Ruby. È rotolato fino ai tuoi piedi, tu ti sei chinata per raccoglierlo e, quando ti sei alzata, io ero in piedi davanti a te. Me l’hai passato e….»

«Le nostre mani si sono sfiorate.» conclusi io per lui.

Trip mi fissò per qualche istante, poi disse: «Come lo sapevi?»

«Ora lo ricordo…. è avvenuto anche qui…. e io non me ne ricordavo. Mi è tornato in mente solo ora, Soval ci aveva detto di non avere contatti con gli Umani, io avevo infranto quella regola e…. e tu eri così bello che non me n’ero preoccupata…. non lo ricordavo proprio.»

Lui rise: «Probabilmente il tuo Trip non se lo ricorda. Avevi una pashmina in testa, ti copriva le orecchie.»

Annuii. «È vero. Per mimetizzarmi tra gli Umani.»

«Dopo sei stata al “Fusion” ad ascoltare il jazz?»

«Sì….»

«Avrai qualcosa da raccontare al tuo Trip, quando tornerà sull’Enterprise.»

«Davvero.»

Rimanemmo a confrontare le nostre missioni fino a mezzogiorno, quando Malcolm mi diede il cambio. Ma per tutto il giorno, una domanda mi si piantò in testa: come diavolo avevo fatto a dimenticare quel primo incontro?

I due giorni successivi passarono tranquilli. I nostri vicini pattugliavano la zona avanti e indietro sul confine senza nemmeno degnarci di uno sguardo. Ricevemmo solo una comunicazione in cui il loro Governo si scusava per l’attacco non provocato e per non poterci dare alcun aiuto sull’anomalia, in quanto non l’avevano mai vista. Sembravano alieni poco interessati alla Scienza, a dire la verità.

Sentii il mio Trip due volte, ma non accennai a nulla, nemmeno riguardo il nostro primo incontro: gliene avrei parlato quando fosse tornato a bordo. Ebbi anche una comunicazione con F’Ral, tutta eccitata per aver visto i nuovi motori dell’NX-03 e per averci potuto lavorare con (testuali parole) “il miglior ingegnere della Flotta Astrale”. Mi parlò anche bene di Erika Hernandez e del suo equipaggio “due-terzi-donne”.

Tutto sembrava tornare alla normalità. Per quanto potevo constatare, il Trip dell’altro universo stava meglio, per lo meno psicologicamente. Phlox continuava a non trovare miglioramenti fisici apprezzabili, ma questo sembrava preoccupare più il medico di tutti noi altri.

Purtroppo Phlox aveva ragione. A mezzogiorno del settimo giorno di permanenza sull’Enterprise, Trip vomitò la pappetta che doveva essere per lui un pasto mangiabile.

«Non è niente.» mi disse, dal bagno. «Mi dispiace…. scusa, ti avrò fatto passare l’appetito.»

Entrai cautamente in bagno, per vedere come stava. Era peggio di quello che pensavamo. Trip stava vomitando sangue.

Lo portai subito in infermeria, dove Phlox mi escluse tirando velocemente la tenda bianca intorno al bioletto. Chiamai Archer e Reed, attendendo che Phlox facesse la sua magia.

Magia che, questa volta, non arrivò.

Mezz’ora dopo, il medico dovette darci la notizia più brutta dai tempi della morte della piccola Elizabeth. La struttura molecolare di Trip non era compatibile con il nostro universo e si stava lentamente disfacendo. Questo era il motivo per cui le sue ferite non guarivano o comunque non lo facevano a una velocità normale.

Obiettai che anche la T’Mir dell’altro universo era stata qui a lungo e non aveva subito danni, ma evidentemente quell’universo era compatibile col nostro.

«Dobbiamo ritrovare subito il modo di rimandarti di là.» disse Reed.

«No.» replicò Tucker. «Io non ci voglio tornare.»

«Trip….» Archer sospirò. «Hai sentito cosa ha detto Phlox. Se resti qui, morirai in breve.»

«Se mi rimandate là, potrei essere ritrovato dalle pattuglie di Trekapa. Sono gli unici che mi stanno cercando. E preferisco morire, che ricadere in mano loro.»

Sapevamo che era vero dalle sue cicatrici sui polsi. Il capitano gli appoggiò una mano sulla spalla. «Cercheremo la tua Enterprise.»

«E per cosa? Lo sai che Archer mi odia.»

«Questo non lo puoi sapere.» dissentì il capitano.

Trip guardò Phlox. «Ha detto che potrebbe tentare di trovare una cura.»

«Ci lavorerò con tutte le mie forze. Ma non nutro grandi speranze.»

«Sono pronto a correre il rischio.» Gli sorrise. «Mi stupisca di nuovo, doc.»

Phlox annuì e si dileguò per riprendere le ricerche.

Io mi alzai per tornare a indagare sull’anomalia, ma Trip riuscì a prendermi la mano prima che io mi allontanassi. «Per favore…. no.»

«Trip….»

«No, sentite…. potrebbero essere le mie ultime ore.» Guardò Archer, poi Reed. «Non le voglio passare da solo. Vorrei che restaste qui con me. Per favore.»

Archer annuì, dando il permesso anche a me e a Malcolm di restare. Ci sedemmo intorno al letto a chiacchierare, a confrontare le nostre storie e trovare le differenze…. come avrebbe fatto la mia T’Mir, anni dopo. Gli Umani risero, io continuai a guardarlo come facevo con il mio Trip, trovavo le differenze e le similitudini, godevo della sua vista, nonostante la magrezza eccessiva, le cicatrici e lo sguardo che celava troppa sofferenza. Ogni tanto mi alzavo e andavo a sbirciare il lavoro di Phlox, un lavoro purtroppo di alta medicina sul quale io non riuscivo a dare una mano. Controllavo sul PADD a connessione veloce se l’anomalia era riapparsa, ma questo Trip non aveva avuto fortuna.

Si spense di sera e il suo corpo si sgretolò in sabbia dorata durante la notte.

Reprimere le emozioni fu difficile. Persino Malcolm, che potrei dire che è l’Umano “più vulcaniano” che conosco, pianse, nascondendosi alla vista degli altri, ma non al mio udito. Archer mal represse una rabbia che aveva come oggetto, tra gli altri, la sua controparte che non aveva saputo recuperare Trip in tempo.

Ormai era inutile restare in quella zona, Trip aveva chiesto che i suoi resti venissero sepolti sulla Terra, ma purtroppo, anche se in stasi, non rimase nulla, nel giro di una settimana era tutto svanito, come fosse stato riassorbito da micro-anomalie, come se il suo universo se lo fosse portato via.

Il viaggio inaugurale della Challenger aveva a bordo la prima e per ora unica Caitian della Flotta Astrale e un capo ingegnere di troppo che non vedeva l’ora di ritornare ai suoi motori. Il rendez-vous ce li avrebbe resi a fine aprile. Era stato un mese difficile.

Io e Archer avremmo accolto Trip e F’Ral al portello stagno, dove Jonathan avrebbe anche salutato di persona il capitano Dunsel.

Ma a metà del corridoio in fondo al quale il portello stagno si sarebbe aperto di lì a pochi secondi, così come la nostra buona Idian aveva fatto, mollai ogni parvenza di ufficialità e serietà e mi misi a correre.

Archer non mi disse nulla della mia “figuraccia”, né in quel momento, né successivamente.

Aprii il portello stagno con una manata sgraziata sul pulsante, salutai di corsa F’Ral, che era stata fatta passare per prima con la bella usanza terrestre del “prima le signore”, quindi abbracciai Trip e lo baciai, davanti a tutti. Una volta che lui mi sorrise e mi salutò, il mondo che fino a quel momento era andato in pezzi, tornò miracolosamente insieme. Potevo ancora percepire le fratture, ma ora erano state in qualche modo riparate.

Mi imposi di calmarmi, quindi salutai un fin troppo divertito capitano Dunsel, attesi che Trip e F’Ral si congedassero, quindi presi Tucker sotto braccio e lo portai via di lì. Archer ci aveva promesso una giornata interamente per noi due e io non avevo intenzione di rinunciarci per niente al mondo.

Non fu una giornata molto romantica, però. Rimasi a piangere tra le sue braccia per diverso tempo. Buttai fuori tutto il dolore che mi ero tenuta dentro dalla sera della morte del Trip dell’altro universo. Ripetei un milione di volte quanta paura si era insinuata dentro di me. Trip fu dolcissimo, come sempre. Le sue promesse di non morire mai erano ovviamente assurde, ma alla fine decidemmo di fingere che sarebbe stato così.

All’inizio di maggio captammo una strana distorsione che ricordava decisamente l’anomalia da cui era arrivato Trip. Mentre snocciolavamo ipotesi su cosa potesse essere (io ero pronta a ordinare a Reed di puntare i cannoni a fase su un incrociatore trekapali che fosse alla ricerca di Trip), Hoshi ci comunicò che dall’anomalia proveniva una trasmissione molto disturbata. Ci volle qualche minuto perché la linguista riuscisse a trasformarla in qualcosa di intelligibile.

Quindi sullo schermo apparve l’immagine del capitano Archer. Aveva molti più capelli bianchi nel nostro e indossava una divisa dalla casacca gialla, simile a quella con cui era apparsa la T’Mir dell’altro universo. Aveva il colletto alto, in stile vulcaniano.

«Questa sì che è una sorpresa.» disse il nostro Archer.

«Lo è anche per me.» rispose l’altro. «Sono il capitano Jonathan Archer, della nave stellare USS-Enterprise della Flotta Stellare della Federazione dei Pianeti Uniti.»

Qualcosa doveva aver dato un impulso in più in quell’universo, perché la Federazione su cui Daniels non aveva voluto sfagiolare più di tanto, si era già formata. O forse eravamo sfasati nel tempo. Volevo credere che gli anni che l’altro Archer dimostrava in più rispetto al nostro capitano fossero dovuti a ciò che era successo a Trip.

«Jonathan Archer. Enterprise NX-01, della Flotta Astrale.»

«Abbiamo captato un segnale distorsivo. Era vostro?»

«Stavamo studiando un’anomalia dalla quale, presumiamo, c’è stato uno scambio con il vostro universo.»

L’altro Archer lanciò uno sguardo interrogativo. «Scambio? Che tipo di scambio?»

«Abbiamo recuperato una capsula di salvataggio.» Jonathan restò vago.

«Scambio di materia? È strano. Per ora la Flotta Stellare è riuscita solo a fare trasmissioni audio e video, solo in condizioni molto particolari e per ora la regolamentazione delle comunicazioni inter-universali è molto rigida. Alcuni membri della Federazione hanno studiato a lungo questa possibilità. Ma per ora nessuno ci è riuscito.»

«Forse è stato un fenomeno naturale.» proposi.

L’altro Archer mi guardò e sorrise. «Comandante T’Pol. È un piacere sapere che, da qualche parte, lei serve ancora sull’Enterprise.» Così, la T’Pol dell’altro universo non era tornata a bordo. La immaginai con uno stuolo di bimbetti in giro, alle prese con la casa e l’istruzione dei figli. L’avrei anche invidiata, se non fosse che lei non aveva Trip e il padre dei suoi figli era Koss.

Jonathan interruppe le divagazioni della sua controparte. «Nella capsula di salvataggio c’era Charles Tucker III.»

Riebbe subito l’attenzione del capitano, che impallidì e si lasciò cadere nella sua poltrona ultratecnologica. «Trip? Avete ritrovato Trip?»

Jonathan annuì, ma non disse altro.

«Pensavamo fosse stato ucciso.» continuò l’altro Archer. «Abbiamo trovato i resti di Malcolm nei pressi della Macchia di Rovi. Ci sembrava strano un attacco così brutale da parte dei Klingon, ma…. c’era anche del DNA di Trip. Come sta?»

Jonathan esitò, poi rispose: «Purtroppo è morto. Non siamo riusciti a rimandarlo indietro e questo universo non sembra compatibile con la vostra vita.»

Potevamo vedere tutti perfettamente che l’Archer dell’altro universo si era messo a piangere. Forse gli Umani di quell’universo si preoccupano ancor meno di nascondere le emozioni. «Ma dove era? Non ho mai perso le speranze di ritrovarlo, un giorno, anche se il Comando aveva deciso di dichiararlo morto.»

«Era in mano ai Monarchi di Trekapa.»

L’altro Archer si asciugò gli occhi con il dorso della mano. «Ottimo.» Lasciò andare un sorriso crudele e io dovetti resistere all’impulso di insultarlo. “Ottimo”? Che caspita di risposta era? Ma lo capii subito dopo, quando aggiunse: «La famiglia reale di Trekapa è stata massacrata nella recente guerra contro gli Xyrilliani, che hanno vinto.» Di nuovo, una morte troppo clemente. «Come stava Trip?»

Hoshi comunicò che la trasmissione stava svanendo e l’altro Archer confermò che non avevano molto tempo a disposizione, quindi Jonathan disse: «Stava bene, ma gli mancavate molto. Non vedeva l’ora di riabbracciarvi tutti.»

«Grazie, capitano. Grazie per tutto quello che ha fatto per Trip. Buon viaggio….»

La trasmissione svanì.

Jonathan si girò verso di me, certo che, se non a voce, per lo meno nella mia mente c’era l’obiezione sulla bugia che aveva appena raccontato. «Non sarebbe cambiato nulla.» spiegò. «Se anche gli avessi detto che Trip era convinto di essere stato abbandonato, il risultato sarebbe stato lo stesso. Inoltre, la verità è che non è stato abbandonato. Solo, loro sono stati meno fortunati di noi.»

C’era una cosa che mi stupiva spesso di Archer: nei rapporti interpersonali dimostrava una saggezza che era introvabile persino nei più anziani ed eruditi Vulcaniani.

Quella sera ero sdraiata accanto a Trip – il mio Trip – il mio corpo premuto contro il suo fianco, una mano appoggiata al suo petto, la guancia alla spalla e la gamba piegata sopra le sue. Lui stava leggendo alcuni aggiornamenti di ingegneria. Molto spesso restavamo così, ma in genere anch’io (o solo io) leggevo. Quella sera non potevo smettere di guardarlo. Trip era lì, con me, era vivo, stava bene, era mio.

Lui si accorse che lo stavo fissando e mi sorrise, smettendo di leggere. «Che c’è?»

«L’altro Trip mi ha fatto tornare in mente una cosa.»

«Mh?»

«Ricordi quando hanno iniziato a costruire l’Enterprise?»

«Certo che me lo ricordo.»

«Di sera…. tu e Archer siete stati al 602 a festeggiare, giusto?»

Trip appoggiò il PADD sul letto. «Sì.» Mi lanciò uno sguardo interrogativo. «Perché?»

«Stavi riparando il comunicatore di Ruby.» (Devo ammettere che sono un pochino gelosa di Ruby.) «Ti è caduto il calibro laser.»

Trip rise. «Come lo sai?»

«È rotolato fino ai miei piedi e io te l’ho passato.»

Lui rimase per un secondo a fissarmi, poi esclamò: «Eri tu?!»

«Sì. È successo in questo universo e anche in quello dell’altro Trip. Me n’ero completamente dimenticata, è stato lui a ricordarmelo.»

Trip mi diede un bacio sulla fronte. «Me n’ero dimenticato anch’io…. Che forte, ci siamo incontrati prima! Ma era abbastanza tardi…. è stata quella volta che sei scappata dal campo vulcaniano?»

Mi alzai leggermente: «Non sono scappata.»

«”Uscire di nascosto” a casa mia equivale a “scappare”.»

Sospirai, ma dentro di me, già allora, sorridevo. Tornai ad appoggiare la guancia alla sua spalla. Per quanto mi riguardava, il mondo poteva entrare in un circolo temporale che ci avrebbe lasciati in quella posizione per qualche miliardo di anni e a me sarebbe andato bene.

[NdM: Il primo incontro di cui parlo qui l’ho precedentemente descritto ne “I Naviganti 14: Drifting”.]

Ieri ho origliato involontariamente (più o meno) una conversazione tra Trip e T’Mir. Ero in giardino e stavo tentando di rimediare ai danni fatti dalla mia completa incapacità con le piante. Mia madre era bravissima, ricordo i rampicanti nar’ru nella sua casa fiorivano a grappoli colorati e spandevano un profumo dolce e delicato. Nel mio giardino, invece, le piante muoiono a vista d’occhio. Ci sono addirittura le piante nomadi di Nimbus III – abituate ai climi proibitivi del loro pianeta natale, sul quale si sono evolute “nomadi” proprio per cercare l’acqua – che staccano le radici dal mio terreno per spostarsi nei giardini dei vicini, dove diventano stanziali e iniziano a fiorire allegramente. Di solito c’è un giardiniere che viene a sistemare tutto, ma si è preso un mese per tornare sulla colonia dei genitori e i risultati si vedono. Immagino già il suo sguardo duro e contrariato, quando vedrà il mio giardino.

Stavo strappando le piante morte e le erbacce che si moltiplicavano appena giravo lo sguardo, mentre Trip e T’Mir erano nella camera della bambina a giocare alle costruzioni. Gracie mi ha detto che era il gioco preferito di Trip e, quando lei e il marito sono venuti a trovarci, hanno portato a T’Mir un enorme pacco di questi mattoncini a incastro (precisamente il loro nome è Lego). Devo ammettere che lo trovo anch’io un gran bel gioco e soprattutto mi piacciono i pupazzetti con la testa a forma di animale. Come molti bambini della sua età, T’Mir è nella fase “da grande farò la veterinaria”.

Ad un tratto sentii mia figlia pronunciare queste testuali parole, che mi sono rimaste piantate in testa: «Papi, che intenzioni hai con mia madre?»

“Che intenzione hai”?! Non è una frase da bambina di otto anni! Nemmeno se Vulcaniana. Fermai il mio lavoro, restando nascosta dietro quello che un tempo era un arbusto verdeggiante e che ora non era altro che un intrico di rami e foglie secche, che tendeva scheletriche dita attraverso una soffocante erbaccia rampicante.

«Ah…. cosa intendi?» ribatté Trip.

«Tu mancavi alla mamma, ma era comunque felice prima che tu arrivassi. Adesso è molto felice.»

«Sì…. bene.» rispose lui, con voce incerta.

«Quindi…. se non hai intenzione di rimanere, è meglio che vai via subito, prima che lei ci faccia l’abitudine. E anche prima che ce la faccio io. Perché se te ne vai tra un po’ di tempo, starà molto peggio.»

Trip le sorrise: «Io vorrei stare qui per sempre.»

«Bene.» continuò la mia bimba. «Perché io ti voglio bene.»

Lui si sporse in avanti e la abbracciò. «Anch’io te ne voglio.»

Di sera, dopo aver messo a letto T’Mir (che volle tenere sul comodino una casetta di Lego che avevano costruito quel giorno, al cui interno, su un lettino rosso e bianco, aveva messo a dormire un gattino dalla testa arancione), andammo in giardino a contemplare le aiuole di terra brulla. «Ho fatto un disastro.» dissi, sedendomi sulla panchina a contemplare le rovine. C’era anche una piccola pianta nomade, forse l’ultima rimasta, che stava staccando le radici per iniziare la sua migrazione. Ecco, sopravvivono in un deserto, ma si rifiutano di starmi vicine.

«Ripiantumeremo.» propose Trip, che come giardiniere faceva anche “più schifo” di me.

«Ho sentito il discorso di T’Mir….» ammisi.

Trip mi guardò. «Intendi….?»

«Sì, quello.»

Lui rise. «Ah, be’, non ha mica del tutto torto.»

«Non mi sarei aspettata un discorso così da lei. Insomma, non è stata gentile.»

«Ah, figurati. Anzi, secondo me lo è stata. È stata schietta e, se posso dirlo, questo è tipico dei Tucker.»

Annuii, era vero.

«Mi ha avvertito e io l’ho apprezzato.» Rise.

«Certo, ma non avrebbe dovuto dirti quelle cose. Rischia di passare per antipatica.»

Trip scosse la testa. «No, è che lei ti vuole bene. Ed è giusto che sia così, perché io non ci sono stato per lei, nei primi anni della sua vita. Tu sì. Hai abbandonato tutto per lei…. la carriera, il pianeta, gli amici, i familiari….»

«Era l’unica cosa logica da fare.»

Lui mi guardò con quel mezzo sorriso che significa “non-mi-venir-a-raccontar-stronzate-sulla-logica”.

Quindi mi corressi: «L’ho fatto perché non c’è altro che io ami di più al mondo.» Mi avvicinai di più a lui, che mi cinse le spalle con un braccio. «Non credo che qui, dopo aver eliminato Sakel, ci saranno altre minacce per T’Mir, ma tu devi promettermi di proteggerla in qualsiasi caso.»

Lui mi baciò sulla tempia. «Promesso.»

«Dico sul serio.» Alzai lo sguardo, incontrando i suoi stupendi occhi azzurri. «Se dovessi scegliere tra me e lei, dovrai scegliere T’Mir.»

Trip sospirò. «Dai, T’Pol, che discorsi sono?»

«Io lo farei.»

«Cosa?»

«Se dovessi scegliere tra salvare lei o salvare te, sceglierei lei.»

Trip mi sorrise. «Siete molto protettive l’una con l’altra.»

«Promettimelo.»

Lui si chinò in avanti e mi baciò. «Te lo prometto. Ma tu promettimi che non ti cimenterai più nel giardinaggio. Troveremo un giardiniere sostituto. Il tuo pollice nero ti deprime, poi mi fai questi discorsi angoscianti.»

Ricambiai il bacio e sorrisi: «Promesso.»

Fine

(19 luglio 2014 – 25 settembre 2014)

Pubblicato 18 gennaio 2015 da MicioGatta in Enterprise, fanfic, I Naviganti, Star Trek

Una risposta a “I Naviganti 31: Always On My Mind (racconto su Star Trek: Enterprise)

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