I Naviganti 33: Il Giorno di Sirleney (racconto su Star Trek: Enterprise)   1 comment

I Naviganti 33Dedicato a mia Madre

Rating: PG-13

Genere: Romanzo – avventura

Riassunto: Sbarcati su un pianeta pre-curvatura per recuperare un materiale per riparare le gondole, gli ufficiali dell’Enterprise porteranno a bordo ben più di qualche cassa del minerale.

Spoilers: Tutta Enterprise, più qualche riferimento qua e là a tutto Star Trek.

Dichiarazioni: “Star Trek: Enterprise” e tutti i suoi personaggi sono proprietà della Paramount e dei suoi autori. Questo è un racconto di fantasia, creato da una fan al solo scopo di intrattenimento e senza scopo di lucro. Ogni somiglianza a racconti, fanfiction, persone reali o fatti realmente accaduti è puramente casuale.

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“Non so se ti è capitato mai
di dover fare una lunga corsa
e a metà strada stanco dire a te stesso
‘adesso basta’….
Dici anche di voler morire,
dici ‘è meglio che correr così’
ma no, non puoi fermarti.”
(Edoardo Bennato, “Non Farti Cadere le Braccia”)

“Non c’è dramma peggiore che veder realizzati i propri sogni.”
(Federico Leoni)

(Trip)

Neuropressione.
Rilassante, riposante, rinvigorente, intima.
«Tocca a te?» biascico.
Sono sdraiato prono sulla panca del nostro alloggio e T’Pol mi sta massaggiando quel danna-to punto vicino alla scapola che mi fa male quando sono sotto pressione.
«No, non ne ho bisogno.»
«Sei stanca anche tu.»
Tripli turni per entrambi, da quattro giorni.
È successo un disastro. Abbiamo incontrato un vento interstellare zeppo di particolato pe-sante e i collettori bussard sono stati “scartavetrati” come in una tempesta di sabbia. Abbiamo passato questi giorni a cercare di ripristinarne la superficie e andiamo a curvatura 2,5 per mi-racolo. A curvatura 2,5 quando io sono in sala macchine. Ora stiamo andando a 1,8.
Non mi sento nemmeno molto tranquillo ad essere qui a farmi massaggiare da T’Pol, invece che in sala macchine, ma Phlox e Archer mi hanno obbligato a prendermi la nottata di riposo. Ordini del medico e sul mio riposo Phlox non è mai stato molto disposto a trattare. Che poi in fondo non ha del tutto torto…. l’ultima volta che mi son rifiutato di dormire mi sono ustio-nato per una stupida svista.
«Io ho solo fatto alcune ricerche.» mi risponde T’Pol.
Non insisto, non so se avrei le forze di farle la neuropressione come si deve.
«Giusto. Dovevi aggiornarmi a riguardo.»
«Siamo in rotta verso un sistema solare che, secondo le letture a distanza, potrebbe avere una buona percentuale di airillio.»
«Mi fido dei tuoi calcoli.»
«Anche il capitano. Ci stiamo dirigendo là.»
Sorrido. «Quando arriviamo?»
«Tra 43 ore.»
Mi tiro lentamente a sedere. Mi sento più rilassato e il dolore vicino alla scapola è quasi pas-sato. «Bene.» Le prendo le mani e le bacio sul dorso. «Mani magiche. Sicura che non vuoi che ricambio?»
«Sì. A letto, ora.»
Annuisco. Non ho comunque le forze di contraddirla. Mi infilo a letto, mentre lei prende tutti i miei vestiti e li fionda dentro la cassapanca. Per inciso, una cosa del genere qualche anno fa non l’avrebbe mai fatta. Poi s’infila a letto, sdraiandosi di fronte a me.
«Segni di vita?»
«È difficile dirlo a questa distanza.»
«Segni di curvatura?»
«No.»
«Peccato.» Abbraccio T’Pol e lei spegne la luce.
«Toglimi una curiosità: da chi hai imparato a fare….» mi blocco. No, non sono certo di vo-lerlo sapere. La risposta potrebbe essere uno dei suoi precedenti amanti e io li odio tutti.
«La neuropressione?»
«No, lascia stare non sono sicuro di volerlo sapere.»
«Perché no? Ho imparato Da mia madre.»
Oh, che bello.
«Giusto. La neuropressione è molto intima.»
«Sì, e non c’è rapporto più intimo che quello tra madre e figlia.»
«O figlio?»
«No, solo con le femmine.»
«Perché? Anche i maschietti stanno nella pancia della madre.»
«Sì, ma i maschietti non hanno una pancia che possa ospitare altri bambini.»
«Quindi i maschi sono tagliati fuori da questo rapporto privilegiato, dato che non lo posso-no avere coi padri.»
«Sei geloso?»
Scoppio a ridere. «No…. è solo che credo che si possa avere un rapporto privilegiato anche col padre.»
«Non lo escludo a priori, quella che ho esposto è solo una “filosofia” in cui credono da ge-nerazioni le donne della mia famiglia.»
«Anche tu.»
«Se avremo un bambino, maschio o femmina che sia, sono certa che tu avrai un rapporto straordinario e privilegiato con lei o lui.» Mi bacia sulla bocca, come a volermi mettere a tace-re.
«Ora di dormire.» dico.
«A meno che non tu voglia provare a fare quel bambino per avere il rapporto privilegiato, qui, proprio ora.»
Le sorrido. «In questo momento ho la sensazione che potrei dormire per dieci ore come i Caitian….» Sorrido leggermente pensando al bel musetto di F’Ral, mentre scivolo nel sonno.

(T’Pol)

«Circa un miliardo?»
«Sì, signore.»
Archer sospira. «Sono tanti.»
«Sono umanoidi.»
Invio allo schermo centrale l’immagine di due persone, fotografate a lunga distanza. Sono molto simili agli Umani, più o meno quanto lo erano gli Akaali.
«Conferma che non ci sono satelliti artificiali?»
«Sì. Nessun satellite artificiale, solo diverse postazioni di osservazione astronomica nell’isola continentale meridionale.»
Ci siamo fermati in una fascia di asteroidi in modo da poter analizzare il pianeta senza esse-re rilevati. Hoshi ha monitorato le conversazioni e ha scoperto che si chiamano Tessatti. Il capitano sembra piuttosto dubbioso. «Esegua di nuovo la ricerca. Provi a vedere se qualche asteroide contiene airillio.»
Dentro di me sospiro, ma eseguo l’ordine. Quando ho finito confermo: «L’airillio si trova nel nucleo del primo pianeta e su parte della crosta del quarto.» È quest’ultimo ad essere abitato da una popolazione umanoide precurvatura. Scavare per arrivare al nucleo di un pianeta non è pensabile, non abbiamo i mezzi. Attendere aiuto o trovare un altro luogo pieno di airillio come questo pianeta è pressoché impossibile.
«Sulla crosta a che profondità?»
«C’è una zona a sud che sembra aver avuto un’intensa attività vulcanica qualche decennio fa. I vulcani hanno portato in superficie l’airillio, sarà sufficiente togliere circa cinquanta cen-timetri di sedimenti.»
«Il teletrasporto?»
Faccio qualche calcolo veloce a mente. «Dovremmo stare direttamente sopra il punto di scavo, il che ci porterebbe nel raggio dei telescopi della zona. Inoltre l’airillio impuro potreb-be interferire con il teletrasporto.»
«Ci manca solo di bloccare quello.» bofonchia Archer. È strano, perché non è mai stato par-ticolarmente restio a sbarcare su un pianeta, nonostante le mie obiezioni. «Dobbiamo scende-re a prenderlo. Tucker ha detto che ne basteranno cento chilogrammi, giusto?»
Annuisco.
Archer cammina per qualche secondo, poi torna verso la mia consolle: «Non toglieremo lo-ro risorse importanti?»
Torno al mio scanner e eseguo altre analisi. «Attualmente non stanno usando l’airillio.»
«No, ora no, ma potrebbe servire in futuro. Come per noi.»
«Capitano, il mantello del pianeta ne è pieno, ci sono ancora diversi vulcani attivi che lo porteranno in superficie.»
Si appoggia al corrimano. «Cento chili sono una quantità irrilevante?»
«Esatto.»
Sospira. «Metta assieme una squadra di sbarco, dobbiamo andare giù a prenderlo.»
«Sissignore.»
Mentre Archer dà istruzioni a Sato perché programmi i traduttori universali e cerchi tutto ciò che ci serve, entro nel turbo ascensore pensando che, per una spedizione di questo tipo, è assolutamente necessario che nella squadra di sbarco ci siano l’ufficiale scientifico e il capo ingegnere.

(Archer)

Creare le nostre identità non è stato per niente facile. Nonostante il pianeta non abbia satel-liti artificiali, ha una rete informatica incredibilmente ampia e completa. Secondo le analisi di Hoshi e T’Pol da qualsiasi parte dei due continenti è possibile verificare l’identità di chiun-que.
Hoshi ha fatto un ottimo lavoro scovando un’isola dalla parte opposta al luogo di atterraggio dove le linee sembrano temporaneamente interrotte per manutenzione.
Così ora siamo quattro scienziati dell’università dell’isola di Pizteltuv, inviati ad analizzare il terreno in prossimità dei vulcani.
Ci siamo subito recati da quello che Hoshi ha individuato come il presidente dello Stato do-ve si trova il terreno. Ci ha accolti il suo segretario.
«Scienziati da Pizteltuv? È la prima volta che riceviamo gente da lì.»
«Sì…. non ci muoviamo spesso.» spiego.
Cercano di controllare i nostri documenti a un terminale, ma come aveva previsto Hoshi, la rete dell’isola è disconnessa. Fortunatamente decidono di fidarsi.
«Parlate senza accento, complimenti. In effetti si dice che la gente di Pizteltuv sia molto eru-dita. Vedo se il Ministro può ricevervi.»
Il Palazzo del Governo è un edificio spoglio, pulito e funzionale, senza fronzoli e luminoso. Veniamo ammessi nella stanza del Ministro, un umanoide slanciato dai capelli grigi, di nome Olteran.
«È un piacere.» Alza la mano con tre dita sollevate in quello che ormai sappiamo essere il sa-luto, a cui rispondiamo prontamente. «Non ho mai incontrato una persona di Pizteltuv, pur-troppo non ho mai avuto occasione di andarci. Il mio segretario mi ha detto che avete biso-gno di un permesso di scavo, ho capito bene?»
T’Pol si fa avanti. «Sì. Come di certo sa, il terreno di Pizeltuv è molto simile a quello della vostra area vulcanica. Abbiamo il sospetto che il vulcano della nostra isola si stia per risve-gliare.»
Il presidente annuisce. «Dovrete asportare della terra?»
«Non più di qualche cassa.» intervengo. «È una promessa.»
«Stiamo studiando da anni i fenomeni vulcanici della zona. Sarebbe un’ottima cosa se riu-scissimo, a forze congiunte, a trovare il modo di bloccare i disastri provocati dalle eruzioni. Ma so quanto sia difficile per voi mantenere una rete informatica stabile, nelle vostre condi-zioni. Ho sentito dire che con quei vulcani di mezzo, anche le comunicazioni radio sono spesso problematiche.»
«È esatto.» ribatte T’Pol.
Ricordo che quando eravamo nei pressi del pianeta dei pollini aveva detto che recitare non era esattamente una tradizione vulcaniana. Ormai invece è diventata esperta. Non mi sor-prenderei più di tanto se tra qualche mese la trovassi ad interessarsi al gruppo di teatro che F’Ral ha messo in piedi con altri membri dell’equipaggio. Settimana scorsa hanno messo in scena la rivisitazione de “La Bella e la Bestia” che aveva inventato insieme a Trip e Malcolm quando loro due erano tornati bambini. È stato straordinario, tanto che molti hanno proposto di inscenare Shakespeare. Lette le trame, F’Ral ha scelto “Molto Rumore per Nulla”, perché le tragedie non le piacciono.
«Be’…. non vedo perché negarvi il permesso. Le vostre carte, per favore.» Olteran tende la mano.
Ho un po’ paura che scopra il nostro inganno, ma non abbiamo scelta. Tutti e quattro por-giamo le carte identificative e il Ministro le infila in un computer. Digita il permesso di ese-guire studi scientifici e ci rende le carte. «Buon lavoro.»

(Trip)

Non ho ben capito se con “serve il capo ingegnere” T’Pol e Hoshi intendessero che ci vole-va qualcuno per riconoscere e prendere quanto airillio ci serve, oppure se serve uno che sca-va le buche con la pala a cui dare da fare il lavoro pesante. In ogni caso i due che stiamo sca-vando siamo io e Archer. Com’è giusto che sia, in fondo. Mia nonna diceva che la parità dei sessi non vuol dire che la cavalleria è morta e sgridava sempre me e Al quando non eravamo gentili con Lizzie o con la mamma, e sgridava pure Lizzie quando non era gentile con le per-sone più anziane. Cosa che comunque accadeva di raro, dato che Lizzie era la figlia obbe-diente e dolce.
Hoshi ovviamente è venuta per la lingua e T’Pol per la parte scientifica. È stato un bene per-ché ha saputo tenere un’ottima conversazione con il Ministro.
Ci siamo organizzati con casse e carrelli per poter trasportare l’airillio con un minimo sfor-zo. Ci stanno lasciando lavorare da soli, senza guardie né alcun tipo di controllo.
«Dovremo lasciargli qualche dritta su come gestire i vulcani.» dico, mentre sollevo un bel pezzo lucente di airillio.
«Sarebbe inappropriato.» ribatte T’Pol.
«Così però gli daremo l’impressione che gli isolani non siano affidabili.»
Archer sospira. «Trip non ha torto. Diamo loro un piccolo aiuto, niente di troppo avanzato, ma che sia sufficiente per avviare gli studi nel verso giusto, e per ripagarli dell’airillio che ci portiamo via.»
T’Pol non è molto convinta, ma non controbatte all’ordine del capitano. «Scriverò qualcosa che il guardiamarina Sato potrà tradurre.»
«Dimmi che siamo a cento….» sospiro, buttando un altro pezzo di airillio nella cassa.
T’Pol ha un analizzatore imboscato nella tasca. «È più che sufficiente.»
«Perfetto. Possiamo portare tutto nella navetta.»
Chiudiamo le casse, pronti a tornare al bosco dove abbiamo nascosto la navetta, quando il Segretario del Ministro, seguito da due persone vestite allo stesso modo, ci viene incontro.
«Scusate se interrompiamo la vostra ricerca.» ci dice. «C’è un…. piccolo problema.»
Puzza di guai. Sembrava andare tutto bene e invece ecco arrivare il casino. Classico!
«Di che si tratta?» chiede Archer, senza far trasparire il minimo segno di preoccupazione.
«Dovreste venire con noi in centrale…. è solo che ci siamo dimenticati di trascrivere i vostri dati, niente di grave, ma sapete com’è quando le comunicazioni sono così intermittenti come con l’isola….»
–Scappiamo col malloppo!– penso.
«Ah, certo, non ci sono problemi.» ribatte il capitano. Ovvio, cos’altro può dire?
«Sì, più che altro dovremmo lasciare le casse da qualche parte, sono pesanti.» Indico il cari-co.
«No, no. Voi due» indica me e T’Pol. «non c’è bisogno che veniate. Abbiamo bisogno solo di loro.»
«Oh.» È la prima volta che non mi caccio nei guai, strano. Questa volta mi è andata bene.
«Nessun problema.» Archer ci sorride. «Andate pure avanti, vi raggiungiamo a breve. Per-ché….» Si gira verso il segretario. «….sarà una cosa breve, giusto?»
«Ah, certo, è solo una veloce formalità.»
Ci dividiamo. Non mi piace molto la situazione. L’ultima volta che siamo scesi noi quattro su un pianeta e poi siamo stati divisi così, io e T’Pol da una parte, Archer e Hoshi dall’altra, mi hanno catturato, interrogato e drogato così tanto che poi ho tentato di uccidere T’Pol e di spararmi.
Comunque obbediamo agli ordini del capitano e ci dirigiamo verso la foresta, camminando velocemente per raggiungere al più presto la navetta. Tutto scorre liscio e sinceramente mi sembra anche troppo liscio. Carichiamo le casse e ci sediamo nel portello aperto ad aspettare.
«Speriamo che non ci siano casini.» borbotto.
«Sato è stata brava.»
«È strano, però. Prima ci danno i permessi di scavare, poi controllano?»
«Non tutti gli umanoidi agiscono come gli Umani.»
«Vero….» Qualcosa però attira la mia attenzione. «Lo senti?»
«Odore di bruciato.»
«Sì…. ma c’è un…. crepitio.»
«Hai ragione. Sarà un fuoco. È cambiato il vento: è probabile che ora l’odore arrivi da noi.»
Mi alzo.
«Trip!» mi chiama lei.
«Sono curioso.» Le sorrido e mi incammino verso una collina, anch’essa immersa nella fore-sta.
«Senti, le cose sono andate bene finora, non facciamo danni!» Però mi segue anche lei. Di sicuro i Vulcaniani sopprimo le emozioni, ma quanto a curiosità…. mi viene sempre in mente il detto che continua a recitare F’Ral: “la curiosità uccide il Caitian, ma la soddisfazione lo ri-porta in vita”.
Arrivati in cima ci appiattiamo al suolo, sbirciando oltre. C’è un’alta pira. Sopra di essa, av-volta in fasce lilla, una figura umanoide. Ci sono alcune persone che stanno allontanandosi, lasciando il luogo libero.
«È un funerale.» sussurra T’Pol. «Dovremmo, con rispetto e in silenzio, andarcene.»
Ma qualcos’altro ha attirato la mia attenzione. C’è sì una persona morta sulla pira, ma c’è anche una persona viva. «T’Pol.» la indico.
«Trip.» ribatte lei, con voce ferma.
Io sospiro, ma aspetto giusto che tutte le persone se ne siano andate, quindi mi alzo e corro giù dalla collina, verso la persona legata sopra il fuoco.
«Comandante Tucker!» esclama lei, raggiungendomi.
«Aiutami!» Estraggo il coltellino svizzero che mi porto in tasca da quando io e Malcolm ab-biamo vissuto l’avventura olografica dei Ventica, e inizio a tagliare le corde che legano il po-vero malcapitato, che è a mala pena cosciente.
«Trip, stai facendo una cosa assurda.» continua lei, ma poi mi aiuta.
Lo tiriamo giù velocemente, appena prima che una folata di vento ravvivi il fuoco, che in-globa tutto il rogo.
Velocemente lo portiamo su per la collina, tenendolo ognuno per un braccio.
Lo trasciniamo dentro la navetta, lasciandolo sul pavimento: è svenuto. T’Pol prende subito il kit medico per tamponare la ferita sul fianco. «Ti rendi conto di quello che abbiamo fatto?»
«Salvato un uomo?»
Lei mi lancia uno sguardo di disapprovazione, ma, da parte sua, preme una garza sulla feri-ta. «Non sappiamo perché quest’uomo era condannato a morte, non sappiamo nemmeno se fosse davvero così o di che rito si tratta.»
«T’Pol.»
Lei sospira pesantemente. Poi riporta l’attenzione sul sangue, rosso come quello umano. «Non si ferma.»
«Che diavolo….?!»
Mi giro di scatto, vedendo Archer.
«Ah, capitano….»
«Chi è?»
«L’abbiamo trovato ferito.» spiego. Be’, non è che sia proprio una bugia.
Lui lancia uno sguardo a T’Pol. Secondo me sta pensando a quando lei ha stordito Riann sul pianeta Akaali.
«No, lei non c’entra.» affermo. «E nemmeno io, l’abbiamo davvero trovato così.»
«L’emorragia non si ferma.» spiega T’Pol.
«Dovremmo portarlo subito in un ospedale del pianeta, ma non abbiamo tempo.» dice Ar-cher.
«Che cosa avete combinato?» Chiudo il portello, mentre lui si piazza ai comandi.
«Non trovavano i nostri dati nel database dell’isola. La connessione è caduta nuovamente e ci hanno lasciato andare in attesa di ulteriori controlli.» Decolliamo. Dall’oblò posso vedere che il fuoco ha ormai inghiottito l’intera pira. Mi stupisco che non bruci anche il bosco, ma non ci penso più di tanto. Lancio un’occhiata all’uomo che abbiamo salvato da morte certa. Sembra giovane non deve avere più di ventuno o ventidue anni in termini terrestri.
«Ma i nostri c’erano.» obietto.
«Pensavano di averli trovati, ma c’è stato l’ennesimo errore di connessione. Ce ne andiamo in fretta, prima di rimanere bloccati qui.»
In silenzio, lasciamo il pianeta e ci dirigiamo velocemente verso la fascia di asteroidi dove abbiamo lasciato l’Enterprise.
«Ora mi spiegate chi è questo tipo?»
Lancio uno sguardo a T’Pol, che è caparbiamente intenta a cercare di fermare il sangue e ri-solutamente decisa a non rispondere ad Archer al mio posto.
«Be’…. era…. ecco, era stato legato a un rogo a morire dissanguato e bruciato.»
Il capitano si gira verso di me, lanciandomi uno sguardo che potrebbe fulminarmi: «Avete portato via un condannato a morte?!»
«È solo colpa mia.» ribadisco.
T’Pol finalmente parla: «Ti ho aiutato.»
Archer sospira.
«Senti, capitano, nessuno si merita una morte del genere, qualsiasi cosa abbia fatto.»
Lui non mi risponde, ma preme l’interfono. «Archer a infermiera. Dottor Phlox, abbiamo raccolto un autoctono ferito. Per favore, si prepari a un’emergenza medica.»

(Archer)

Quando entro in infermeria, il Tessatto è disteso su un lettino. È ancora privo di sensi e ha un tubo color rosso accesso che porta sangue artificiale nelle sue vene.
«Come sta?» chiedo a Phlox.
«Aveva perso molto sangue, aveva una leggera intossicazione da fumo ed è decisamente malnutrito.»
«Se la caverà?»
«Sì, non è grave.»
Sospiro. «Dovremo riportarlo sul suo pianeta, ma temo abbia visto Trip e T’Pol aiutarlo. È possibile cancellargli la memoria delle ultime ore?»
Phlox scuote la testa. «Non saprei come fare, purtroppo.»
Le porte dell’infermeria si aprono e i miei due ufficiali incriminati entrano. In fondo hanno fatto una cosa giusta, non posso di certo dire che li condanno. T’Pol evidentemente passa troppo tempo con Trip, dato che una cosa del genere va contro ogni principio di non interfe-renza su cui ha rotto le scatole un giorno sì e l’altro pure nei primi anni della nostra missione.
«Come sta?»
«Starà bene. Ma avete combinato un bel pasticcio: Phlox dice che non sarà possibile cancel-largli la memoria.»
I due si girano verso la porta, con tutte le intenzioni di uscire, ma in quel momento il Tessat-to socchiude gli occhi. Il sedativo ha finito l’effetto molto prima rispetto a quello che pensava il medico.
«Comandante Tucker.» dice Phlox. «Si sta svegliando.»
Poi succede tutto in fretta. L’uomo si tira a sedere di scatto, si strappa la flebo dal braccio, salta giù dal lettino e si dirige velocemente verso Trip.
Per qualche istante credo che sia finita, che sia arrivata la fatidica ora in cui si avvererà la profezia del PADD e Trip verrà brutalmente ucciso da un pazzo omicida che lui stesso aveva deciso di salvare. Ma non faccio nemmeno in tempo ad gridare il suo nome, che il Tessatto, arrivato di fronte a Trip, s’inginocchia.
Sì, si inginocchia, piegando la gamba destra e appoggiando il ginocchio sinistro a terra. Ap-poggia le mani intrecciate alla coscia destra e china la testa. «Mio padrone.»
T’Pol, che stava già per spingere Tucker da parte, si ferma.
Siamo tutti bloccati, in realtà. Fissi a guardare quell’alieno inchinato davanti a Trip come un antico cavaliere davanti al suo re.
«Ah, io….»
Trip alza lo sguardo su di me e poi su T’Pol.
«Ora sì che ti sei cacciato in un bel guaio.» sussurro.
Tucker si abbassa di fronte all’uomo. «Ehi, aspetta…. senti….» Gli mette una mano sulla spal-la. «Alzati, adesso.»
L’uomo si alza di scatto, poi barcolla. «Devi tornartene a letto, sei ancora debole.»
«Sì, mio padrone.» ripete lui.
Tucker lo riporta verso Phlox. «Come ti chiami?»
«Sirleney, ma può cambiarmi il nome, se lo desidera.»
«Ok, Sirleney, mettiamo subito in chiaro una cosa: io non sono il tuo padrone.»
L’uomo lo guarda come se non capisse. «Lei non è Tucker?»
«S-sì.»
«Io l’ho vista, mentre mi salvava dalla morte disonorevole. Ho sentito qualcuno che la chia-mava con questo nome. Lei ha avuto pietà di me, indegno servitore, e mi ha salvato. Per que-sto io ora sono di sua proprietà.»
«Signori, scusate,» interrompe Phlox. «ma dovrei rimettere la flebo al signor Sirleney.»
Lui lo guarda, quindi riporta l’attenzione subito su Trip, che sospira. «Certo, doc.»
Vedo l’uomo irrigidirsi un istante, quando l’ago della flebo gli buca la pelle. Dove se l’è strappata ha un taglio che Phlox provvede a medicare.
«Posso fare una domanda?»
«Certo.»
«Siete alieni?»
La cosa ci coglie un po’ alla sprovvista. È vero che arrivati a bordo ci siamo tolti i travesti-menti, abbiamo indossato l’uniforme e che Phlox e T’Pol sono diversi da noi Umani.
«Be’, sì.» rispondo. «Come lo sa?»
«Ci sono leggende sul mio mondo. Alcune parlano di antichi astronauti, altri di alieni venuti a farci del male, altri ancora di visitatori che non si fanno notare.»
Forse questi ultimi sono i Vulcaniani.
«Ma voi dovete essere quelli che aiutano.» Torna a girarsi verso Tucker. «In particolare lei, padrone.»
«Senti….» Trip sospira. «Non posso essere il tuo padrone…. tra di noi la schiavitù è stata abo-lita secoli fa, non posso avere uno…. uno…. schiavo.»
«Sono il suo servitore.» ribatte Sirleney.
«Ah…. No…. no, non è fattibile. Sei un uomo libero ora.»
Con un nuovo immenso sforzo, Sirleney si tira a sedere e prende tra le sue la mano sinistra di Tucker. «La prego, no!»
«Ehi, calmati! Ho detto che intendo renderti un uomo libero.»
«Mi perdoni se lo dico, ma forse, dal suo stato di saggio e buono alieno, non sa cosa vuol di-re per un servitore tessatto essere liberato.»
Trip sospira. Sfila la mano dalle sue e lo rispinge a letto, quindi prende una sedia e la tira vi-cino al letto: «D’accordo. Illuminami.»
«Padrone?»
«Spiegami cosa vuol dire essere liberato, per te.»
«Un servitore libero può essere utilizzato da chiunque…. ma nessuno mai lo riprenderebbe come servitore. Nel migliore dei casi, morirebbe di fame, ma in genere i servitori liberati ven-gono uccisi o torturati. La prego, io mi impegnerò al massimo per servirla bene.»
Tucker esita. «Potremmo darti un’altra identità. Farti sbarcare sull’Isola Pitzeltuv.»
«Non ci sono servitori sull’Isola. Non ci sono perché li uccidono tutti. La prego. La supplico, mi faccia restare suo servitore.»
Tucker alza lo sguardo su Archer, che sospira leggermente.
«Senti, devo un attimo ragionarci…. intanto mettiamo in chiaro che non mi devi chiamare padrone. E’ allucinante, è brutto.»
«”Signore” può andare?»
«Be’…. sì, ok. Seconda cosa, devi lasciarti curare da Phlox. È il mio medico e lui ha più auto-rità anche del capitano, ok?»
«Come desidera, signore.» Lancia uno sguardo veloce a Phlox. «Posso farle un’altra doman-da?»
«Sì e fammi tutte le domande che vuoi senza chiedermi se puoi farle.»
«È il suo medico personale?»
«Be’, sì, non solo mio, ma anche.»
«Lei è una persona straordinaria.»
«Cosa intendi?»
«Non ho mai avuto padroni che mi facessero curare dal loro medico personale.»
Trip sospira. «Non hai avuto una vita facile, eh, Sirleney? Da quanto sei un servitore?»
«Sono nato servitore.»
«Ho bisogno di chiederti una cosa. E voglio che tu sia sincero. Te la senti di rispondermi o-ra?»
«Signore, ogni suo desiderio è per me un ordine.»
Tucker esita un istante: «Come sei finito in cima a quella pira?»
Sirleney distoglie lo sguardo. «Me ne vergogno molto, signore. E le assicuro che niente del genere accadrà di nuovo. Il mio precedente padrone era un importante ministro della regione di Antifer. Ha subito un attentato. Qualcuno l’aveva in odio, nonostante fosse un uomo buo-no e generoso.»
Così buono e generoso che aveva uno schiavo, penso. Lasciamo stare.
«Gli hanno sparato e io non sono riuscito ad evitare la sua morte.»
Trip alza lo sguardo su di me, uno sguardo che vuole dire tutto “hai visto che non avevo poi così torto?”.
«Come avresti fatto ad evitare la sua morte?» chiedo.
Sirleney mi guarda, poi rivolge lo sguardo a Tucker: «Ho il permesso di rispondere, signore?»
«Certo, lui è il capitano. E comunque per quel che mi riguarda, hai diritto a fare come vuoi.»
Sirleney si rivolge a me: «Potevo stare più attento, potevo notare movimenti strani, potevo morire al suo posto. Ciò che ho fatto è estremamente errato e so che mi sarei meritato la mor-te disonorevole.» Si rivolge di nuovo a Trip. «Ha avuto pietà di me e io le sarò fedele per sempre.»
«Il suo precedente padrone le dava da mangiare?» chiede Phlox. «È in uno stato piuttosto grave di malnutrizione.»
«Era un padrone buono e comprensivo, dottore. Ho potuto mangiare fino al giorno in cui è stato ucciso, poi in cella, in attesa della mia esecuzione, non avevo diritto a cibo.»
«Va bene, ora vediamo cosa può fare Phlox per te.» Trip gli dà una pacca affettuosa sulla spalla. «Riposati, parleremo ancora in seguito.»
Faccio cenno a T’Pol di allontanarsi dal letto. «Ricorda quei dati che avevo detto di inviare sull’airillio? Ecco: lasciamo stare. Questa gente deve liberarsi della schiavitù, prima di ottene-re qualcosa da me.»
«Non intendo contraddirla, capitano.»

(Trip)

Prima di cena faccio un salto in infermeria per vedere come sta Sirleney e fare due chiac-chiere con lui, dopo che ho passato un’ora a parlare con Archer e T’Pol.
Sirleney ha indosso una tuta e finalmente è scollegato dai vari tubi. Mi sorride e china la te-sta, quando mi vede. Capisco che si trattiene a stento dal salutarmi formalmente.
«Allora, come ti senti?»
«Sto molto bene, signore. Pronto a servirla.»
«Hai mangiato?»
«Sì, signore. Un gentile cameriere mi ha portato un ottimo pasto.»
Ok, inutile girarci intorno, veniamo al dunque. «Devi sapere che siamo scesi sul tuo pianeta solo perché avevamo bisogno di un minerale, l’airillio. Lo conosci?»
Lui scuote la testa.
«Be’, ne abbiamo preso davvero molto poco in rapporto a quello che è presente sul pianeta. Non avevamo intenzione di portarti via, ma…. ora sei qui. L’airillio ci serve per rivestire una parte della nave. Abbiamo avviato da poche ore il processo di raffinazione, che durerà fino a domani pomeriggio. Poi ci vorranno un paio di giorni per spruzzarlo nei collettori. Dopo di che, saremo pronti a partire e riprendere il nostro viaggio.»
Sirleney annuisce. «Sì, signore.»
Sospiro. «Prima di allora dovrai fare una scelta…. vedi, questa è una nave veloce, ma non potremo tornare in breve in questo sistema, perché è parecchio isolato dagli altri. Quindi…. devi scegliere se vuoi davvero restare a bordo o se vuoi sbarcare.»
«Se lei me lo permette, signore, io vorrei restare a bordo.»
«Sirleney, pensaci bene: vorrebbe dire abbandonare per sempre il tuo pianeta, tagliare com-pletamente i ponti con la tua gente. Non vuoi tornare tra i tuoi simili?»
«No, signore. Non lo desidero.»
«Non vuoi…. stare con i tuoi amici, farti una famiglia?»
«Io sono un servitore, signore. Non ho amici e non posso avere una famiglia.»
Sto per controbattere, ma Phlox tossisce per attirare la mia attenzione. Mi alzo. «Be’, puoi ancora pensarci, per un po’ di tempo. Ora riposati.» M’infilo dietro a una fila di scaffali. «Che c’è, doc?»
«Ho fatto qualche analisi, anche in comparazione a quelle fatte sugli altri abitanti, anche se a lungo raggio non sono precise.»
«Quindi?»
«Il signor Sirleney è, in effetti, biologicamente diverso dai suoi simili.»
«Che intende?»
«Immagino che sia un problema genetico, probabilmente una mutazione che avviene qual-che volta nei Tessatti. Prima di tutto, quello che lui stesso ha detto: non può farsi una famiglia perché è sterile.»
Sbuffo leggermente. Al di là della sofferenza che una situazione del genere può certamente dare, non vedo altri problemi: esiste l’adozione. Ricordo che una volta Lizzie aveva portato a casa una gatta randagia piuttosto grossa. Dopo due settimane aveva partorito quattro cuccioli identici a lei, grigio tigrati. Dopo qualche giorno, mia sorella aveva portato a casa l’ennesimo micio, un cucciolino di pochissimi giorni, nero come il carbone, sparuto e sporco. Non ab-biamo mai saputo se la madre l’avesse abbandonato o fosse stato buttato da qualche umano senza cuore. Lizzie aveva messo il gattino nero assieme ai tigratini e la gatta l’aveva leccato fino a tirarlo lucido e l’aveva nutrito e cresciuto esattamente come gli altri: il razzismo è un’a-berrazione umana e l’adozione un normale istinto protettivo verso i cuccioli della stessa spe-cie.
«Ma è sano? Voglio dire, starà bene?»
«Per ora sì, ma per quello che ho potuto constatare, il suo corpo ha anche altre diversità, come ad esempio dei telomeri piuttosto brevi, che lo porteranno a una morte prematura ri-spetto ai suoi simili. E anche il suo quoziente intellettivo è inferiore alla media.»
«Mi sta dicendo che è stato fatto schiavo perché…. “inferiore”?» Che brutta parola.
«È quello che temo.»
Sospiro. «Lo lascio alle sue cure, doc.» Saluto medico e paziente ed esco. Questa sera penso che accetterò l’invito di T’Pol di andare in palestra, ho bisogno di uno sfogo.

(Reed)

«Signor Sirleney?»
L’alieno alza lo guardo su di me. Sembra stupito. «Sì?» Indossa una tuta semplice, di quelle che era solito usare Sim. Il suo aspetto è umanoide, se non fosse per la pelle che si scurisce andando verso il centro del corpo (si nota appena sui polsi e sul collo) e le orecchie legger-mente a punta (non quanto quelle dei Vulcaniani), si potrebbe benissimo confonderlo con un Umano. È magro e piuttosto basso.
«Salve, sono il tenente Malcolm Reed. Sono l’ufficiale alla sicurezza. Ho l’incarico di farle fare il giro della nave.»
Lui si tira in piedi, esitante. «Non so se ho il permesso del signor Tucker.»
«Certo che ce l’ha. Venga con me.» Gli faccio cenno di seguirmi e lui obbedisce. Gli mostro tutte le zone comuni, indicandogli dove non deve andare per evitare di cacciarsi nei guai. Sir-leney ascolta attentamente, mi fa qualche domanda pratica, quasi sottovoce, chiedendomi scusa almeno dieci volte. Come mi aveva detto Trip, è una persona estremamente educata e disciplinata.
«Ora andiamo in palestra, lì l’aspetta il comandante Tucker, che le farà finire il giro.»
Apro le porte. Avrei dovuto mettermi direttamente in abiti civili, così potevo fermarmi lì per la mia ora di tango con F’Ral. Be’, dopo passo dal mio alloggio e poi torno.
Individuo subito Trip e T’Pol, che si stanno allenando nel combattimento corpo a corpo. Di-ciamo più o meno allenando. Tucker ha sempre avuto problemi nell’attaccare una donna. In-fatti non fa altro che parare i colpi di T’Pol.

(Trip)

Non riesco mai a prevedere il colpo di T’Pol che mi farà cadere a terra. Ma almeno in que-sto caso, riesco a tirarla al tappeto con me: io sdraiato sotto e lei a cavalcioni sopra di me.
«La smetti?!» esclama T’Pol, con le mani sulle mie spalle.
«Di far che?»
«Di non metterci nemmeno un pochino di impegno. Non fai altro che cercare di schivare i colpi, non attacchi mai. Non è un vero allenamento, questo.»
Io sorrido. «Lo sai come la penso.»
T’Pol sospira. «Basta, è inutile.» Si tira in piedi e mi porge la mano. Io la prendo, mi alzo e la tiro a me, abbracciandola. «Una volta questa mossa non te la saresti mai fatta fare in pubbli-co.»
Lei mi bacia velocemente sulle labbra – anche questo, un tempo, non l’avrebbe mai fatto.
Le sorrido: «C’è da dire che ormai non ci guarda più nessuno.» Sì, solo le avessi messo una mano intorno ai fianchi un paio di anni fa avrei attirato tutti gli occhi della nave.
«Qualcuno che ci guarda c’è.» sussurra lei. Io seguo il suo sguardo e noto Malcolm, che sta parlando con F’Ral e, poco distante da lui, Sirleney, che ci fissa.
Ci avviciniamo. «Ehi, Sirleney, come….?»
Non faccio in tempo a finire la frase che lui, di nuovo, si inginocchia, questa volta di fronte a T’Pol. «Mia signora e padrona, mi perdoni!» esclama. «Io non avevo capito.»
Ok, ora sì che abbiamo attirato l’attenzione dei presenti. «Alzati, Sirleney.» gli ordino e ve-locemente lui obbedisce, ma rimane a testa china di fronte a T’Pol.
«Che cosa succede?» chiede lei.
«Mi perdoni, mia signora, io non avevo capito che il signor Tucker aveva una consorte. Sono il suo servitore, mia signora.»
T’Pol fa un sospiro. «Non ce n’è bisogno.»
Sirleney osa alzare lo sguardo leggermente. «Signora?» Noto comunque che sta sorridendo.
«La pensiamo allo stesso modo.» spiego io. Poi decido di tagliare il discorso. «Malcolm ti ha fatto fare il giro della nave?»
«Sì, signore. È stato di una gentilezza e di una pazienza che io non merito.»
«Bene, allora ti faccio vedere il tuo alloggio.» Poi mi rivolgo a T’Pol: «Ci vediamo dopo.»
Usciamo di lì e porto Sirleney sul ponte C. Apro la porta del suo alloggio. È una di quelle piccole stanzette di poco più due metri per tre, con un letto e una scrivania, niente oblò e un bagno con una cabina doccia quadrata minima. «Eccoci.» dico. «Questo è il tuo alloggio.»
Sirleney si guarda in giro per qualche istante, poi riporta l’attenzione su di me: «È magnifico. Grazie, signore.»
Non direi proprio che è un alloggio “magnifico”. Anzi, è uno degli alloggi più schifidi della nave.
«E….» Si avvicina al letto. «Questo è mio?»
«Certo.»
«Non ho mai avuto un letto.»
«Dove dormivi?»
«A terra. Qualche volta vicino al letto del mio padrone, così da poter essere più veloce a ri-spondere ai suoi ordini. A volte mi davano un cuscino. Ma mai un letto.» Mi sorride. «Lei è una persona straordinariamente buona, signore.»
Scuoto leggermente la testa. «Non pensarci. Ora riposa. Se hai bisogno di una coperta in più, la trovi qui.» Faccio scorrere l’anta dell’armadio sulla paratia, anche questo piccolo. Chi ha sistemato l’alloggio per Sirleney si è premurato di metterci un paio di tute di ricambio e biancheria. «Qui c’è il bagno.» Apro la porta e noto che anche lì è stato sistemato tutto il ne-cessario: saponi, dentifricio e spazzolino, rasoio, salviette.
«La servirò bene. Lo prometto.»
Sospiro leggermente. «Sirleney….» Non so più cosa dire, in realtà.
«Signore…. posso chiederle se sa qualcosa riguardo la nostra religione?»
Scuoto la testa. «A dire la verità non vi abbiamo studiato a lungo. Avevano solo bisogno di un po’ di airillio. Di che si tratta?»
«Per noi servitori è essenziale servire bene. È il nostro scopo nella vita. Se non serviamo be-ne o se moriamo di morte disonorevole, non potremo raggiungere la Divinità. Ci sarà la soffe-renza eterna.»
Santo Sole, questo è indottrinamento profondo. Non solo li crescono convinti che la loro “inferiorità” li obblighi ad essere schiavi, ma gli promettono pure una punizione infinita.
«Se invece serviamo bene, nella vita dopo morte potremo andare a servire la Divinità e quindi essere felici per sempre.»
Ma che bel paradiso! Annuisco. «Sì, ok.»
«Lei non ci crede, vero?»
Esito. Che posso dirgli: son tutte vaccate? Magari invece è vero. In tante religioni si parla di “servi di Dio” come di qualcosa di meraviglioso. Era la Madonna che diceva “ecco, io sono la serva del Signore”. Almeno mi pare. «Sai, Sirleney…. la spiritualità è qualcosa di molto perso-nale per noi…. è…. difficile dire se una cosa sia vera o no.»
«Lo capisco, signore.»
Già, e io devo capire che per lui è importante la sua religione. «Tranquillo. Sono certo che sarai bravissimo.» Prima che tiri fuori ancora qualcosa riguardo a quanto sono buono, lo salu-to e gli auguro la buona notte. Non vedo l’ora di accoccolarmi con T’Pol….

(T’Pol)

Mi infilo sotto le lenzuola, dopo aver recuperato il pigiama che era finito a terra. Trip si è già rivestito e ha sistemato le lenzuola che, data la nostra attività, erano completamente in disor-dine.
La coperta a fiori all’uncinetto di Gracie Tucker ci fa da copriletto e io mi ritrovo qualche volta a fissarla, tanto è bella e tanto sono meravigliosi i suoi colori. Per fortuna, Archer non è un maniaco del protocollo, per cui non ha mai preteso che io tenessi il copriletto standard della Flotta. Non penso che ci abbia mai nemmeno pensato.
Sto per avvicinarmi a Trip, quando il campanello suona. Lui mi lancia uno sguardo, suffi-ciente per intenderci, quindi risponde un “avanti”.
Entra F’Ral. «Oh, siete già a letto.»
In effetti è piuttosto presto, ma prima abbiamo avuto altro da fare.
«Spero di non aver interrotto niente….»
«No, avevamo finito.» rispondo.
F’Ral sale a quattro zampe sul letto e porge un libro a Trip: lo riconosco al volo, è “Nottur-no” di Asimov e Silverberg. L’ha prestato anche a me, diverso tempo fa, e l’ho amato. È il li-bro grazie al quale i suoi genitori si sono conosciuti.
«È stupendo!» esclama F’Ral. «L’ho adorato, penso che lo rileggerò!» Abbraccia Trip. «Grazie per avermelo prestato.»
Lui sorride. «Di nulla.»
La Caitian scioglie l’abbraccio, si gira e abbraccia anche me. «Vi voglio tanto bene.»
Adoro il calore che emette F’Ral…. ma lei si tira indietro. «Be’, vado. Ho promesso che non avrei fatto più la terza incomoda nel vostro letto.» Si tira in piedi. «E poi mi sa che stanotte a-vrete un altro ospite.»
«Che cosa intendi?»
Lei indica verso la porta. «C’è Sirleney in piedi qui fuori.»
Io e Trip ci scambiamo una sguardo, mentre F’Ral ci saluta ed esce.
«Cosa ci farà lì?» chiedo.
«Pronto a servire.» Trip sospira, scosta le coperte e si alza. «Vado a parlargli.»
Sospiro, mentre lui esce. Be’, intanto, io mi accoccolo lì dov’era lui prima, così posso alme-no sentire il suo profumo e il suo calore.

(Trip)

Esco dalla porta e vedo Sirleney in piedi. «Ehi.»
«Signore.» mi saluta con un leggero sorriso, chinando la testa.
«Cosa ci fai qui?»
«Pronto a servirvi.»
Appunto.
«Sì, ma è quasi notte, devi andare a dormire.»
Lui abbassa lo sguardo, poi sussurra: «Signore, io non voglio apparire ingrato…. l’alloggio che mi ha assegnato è stupendo, ma…. è così lontano dal vostro.»
«Non ci sono alloggi liberi qui vicino.»
«Non fa niente. Posso dormire qui.»
«Nel corridoio?! No. Non è fattibile.»
Sirleney alza lo sguardo. «Potrei dormire lì dentro.» Indica una porta un paio di metri più in fondo.
«Quello è uno sgabuzzino.» spiego. «Ci si ripongono gli attrezzi per pulire e…. e qualcos’al-tro.» Nemmeno lo so di preciso.
«Lo so, signore. Un marinaio l’ha appena aperto e ho visto che c’è un po’ di spazio. Mi per-doni se ho osato guardare, mi è venuto spontaneo.»
«Sei curioso, questa è una bella cosa.» Mi dirigo verso lo stanzino e apro la porta. Il riposti-glio è circa due metri per due, vi sono riposti alcuni scatoloni di detergenti, stracci e scopet-toni di emergenza, per quando i filtri di pulizia non bastano. Di solito la scorta grossa di que-sti materiali la teniamo in una stiva di carico, ma è comodo averne piccole quantità qua e là sulla nave. Per lo meno, era comodo averlo finché alle pulizie della nave ci pensava Jimmy. Mi viene un po’ di malinconia a pensare a lui, una delle vittime dell’assurda guerra con gli Xindi. Anche Jimmy aveva un quoziente intellettivo inferiore alla norma, così come Sirleney. Ma almeno Jimmy era tra persone che si prendevano cura di lui.(*)
«Signore?»
Ritorno al presente. «Non c’è il bagno qui.»
«Posso usare quello.» Indica i servizi comuni in fondo al corridoio. Be’, avrà anche in quo-ziente intellettivo inferiore alla norma, ma a senso pratico ci batte tutti.
«Ne devo parlare col capitano, prima.» Gli metto una mano sulla spalla. «Dai. Torna a letto.»
«Sì, signore.» Tenta qualche passo, ma subito crolla a terra.
«Sirleney!» esclamo, chinandomi accanto a lui.
«Mi perdoni, signore. Ora mi rialzo.»
«No, calmo.» Gli metto una mano sulla fronte. «Scotti. Forse l’infezione non è ancora passa-ta. Ti porto in infermeria, aggrappati a me.»
Evidentemente scontento della sua debolezza, Sirleney si aggrappa al mio braccio e si lascia condurre in infermeria. Quando apro le porte noto che Phlox non c’è. Faccio sedere il Tessat-to sul lettino, quindi chiamo il medico all’interfono. Mi risponde un infermiere: c’è stato un piccolo incidente in sala mensa, Phlox sarà da noi tra pochi minuti.
Guardo Sirleney e noto che sta tremando. «Hai freddo?»
Lui annuisce lievemente. «Mi perdoni. Questa nave è piuttosto fredda rispetto al mio mondo natale. Ma mi abituerò.»
Prendo una coperta e gliela metto intorno alle spalle. «Così va meglio?»
Sirleney mi sorride, gli occhi leggermente lucidi. «Solo il mio primo padrone è stato gentile con me, anche se non quanto lei.»
«Chi era?»
«Era un uomo anziano, ritirato dal lavoro da diversi anni. Io ero piccolo e lui mi trattava be-ne.»
Mi siedo sul lettino di fianco a lui: «Poi che cos’è successo?»
«Morì e io sono stato acquistato dal mio secondo padrone che, se posso permettermi di dir-lo, era un uomo crudele e cattivo. Trattava male tutti i suoi servitori. Due anni fa mi ha ven-duto e sono stato acquistato dal Ministro. Era un uomo giusto e onesto, sono stato io a sba-gliare.»
Compravendita di esseri senzienti, disgustoso. «Dal mio punto di vista, tu non hai sbagliato. Hai solo avuto sfortuna.»
«Nessun padrone tessatto sarebbe buono come lei, signore.»

(*) La storia di Jimmy è narrata nel racconto “Hero” di Lorraine Anderson, nella raccolta “Strange New Worlds – Book VIII”.

(T’Pol)

È passata più di un’ora, quando Trip rientra nel nostro alloggio. Sento il materasso abbassarsi dietro di me e, un po’ assonnata, chiedo: «Tutto bene?»
Mi appoggia una mano sul fianco. «Sì. Sono stato a parlare un po’ con Sirleney.»
Prendo la sua mano e la stringo tra le mie. «Novità?»
«Ha avuto una vita di sofferenze. È convintissimo di voler rimanere a bordo, quindi dovrò trovargli qualcosa da fare. Stavo pensando alle analisi che ha fatto Phlox sul suo quoziente intellettivo e mi è venuto in mente che, dalla morte di Jimmy, nessuno l’ha sostituito.»
«Jimmy?»
«James Horn.» Trip sfrega il naso tra i miei capelli. «O magari potrebbe anche imparare qual-cosa sui motori.»
«Non potrebbe trovare un insegnante migliore di te.»
«Appena avremo finito con l’airillio, vedrò di fargli fare un giro in sala macchine. Sembra terrorizzato al pensiero che io voglia costringerlo a sbarcare.» Mi bacia dietro l’orecchio. «Phlox ha detto che Sirleney avrà una vita più breve di quella media dei Tessatti. Come posso imporgli di viverla male?»
«Direi che non ha molte possibilità sul suo pianeta. Potrei chiedere al Consiglio Scientifico di Vulcano se può stare nella stessa località di Myra e Shedar. Magari lì potrebbero aiutarlo.»
«Sì, magari.»
«Appena entreremo nel raggio delle comunicazioni inoltrerò la richiesta.»
«Grazie. Mi son cacciato in un bel casino, eh?»

(Trip)

Nonostante tutto il lavoro nei collettori bussard, abbiamo trovato il tempo per sistemare il mini-alloggio di Sirleney, quello sgabuzzino a quattro metri dall’alloggio mio e di T’Pol.
Abbiamo messo tutto quel che c’era in un altro ripostiglio e lì dentro abbiamo sistemato un letto e un armadietto. Sirleney è estasiato. Per me è un alloggio orribile, il più brutto della na-ve. Non c’è un metro tra il letto e il muro e l’armadio è quasi appiccicato al cuscino. Ma im-magino che per una persona abituata a dormire per terra e servire qualsiasi bastardo abbia i geni “giusti”, un letto con un materasso, coperte e cuscini e uno stanzino tutto suo, per quan-to piccolo, sia qualcosa di meraviglioso.
«Io non so come ringraziarla!»
Gli sorrido. Sotto la tuta indossa una dolcevita di lana blu che Hoshi gli ha scovato in ap-provvigionamento, così non ha più freddo. «Sei proprio certo di non voler tornare sul tuo pia-neta? Stiamo per partire.»
«E lasciare tutto questo?» Allarga le braccia, come se stesse indicando una suite presidenzia-le. «No. Voglio stare qui. Non solo lei è gentile come più di chiunque altro io abbia servito in passato….» Si porta una mano sul collo della dolcevita. «Ma qui sono buoni tutti.»
Annuisco. «Sirleney, domani mattina vorrei che venissi in sala macchine con me.»
«Sì, signore.»
Rido leggermente. «No, senti…. non verrai come mio servitore. Voglio che provi a vedere un po’ come sono i motori. Magari ti appassioni e vuoi studiarli, così da poter avere un lavoro accettabile anche tra gli Umani…. o tra i Vulcaniani.»
Prima gli ho parlato dell’idea di T’Pol: non sembrava molto entusiasta di farsi ospitare su Vulcano. In realtà credo che non gli vada di allontanarsi da me. Credo che abbia paura e non posso dargli torto.
«Comunque, se diventi un bravo ingegnere, puoi rimanere anche qui.» Non è una bugia, per lo meno finché il Comando di Flotta non manderà un messaggio del tipo: “Ehi, lassù, che cazzo state facendo?!”.
«Signore…. io apprezzo davvero la fiducia che lei ha in me, ma temo che la deluderò. Non sono in grado di fare nulla di complicato. So fare appena qualche semplice calcolo. Non so né leggere, né scrivere.»
«Qualcuno ha mai provato a insegnartelo?»
Sirleney abbassa lo sguardo: «Sì, signore. Il mio primo padrone ha provato proprio nell’età in cui è più facile imparare.»
Mi mordo la lingua. Vorrei rimangiarmi le parole. «Chissà.» cerco di rimediare. «Magari è la lingua tessatta che è difficile.»
Lui mi sorride. «Le prometto che mi impegnerò al massimo.»
«Bene.» Indico il letto. «Quindi adesso a nanna. Devi essere riposato.»
Sirleney annuisce. «Posso lasciare la porta aperta?»
Sospiro. «No, Sirleney. La porta va chiusa. Prometto che se ho bisogno di te, ti chiamo. Va bene?»
«Sì, signore.» Si siede sul letto e lo guarda come se stese rimirando un tesoro prezioso che solo lui ha avuto l’onore di ricevere.
Ci scambiamo la buona notte, ma ho idea che lui sia troppo eccitato per dormire.
Nonostante ciò, la mattina lo trovo pimpante e pronto a seguirmi in sala macchine. Di sicu-ro si mostra affascinato e dispostissimo a imparare, ma…. sembra proprio che ci sia qualcosa che non va. Non riesce a ricordare i nomi degli attrezzi più semplici, pur avendoglieli ripetuti diverse volte, le scritte per ora gli risultano impossibili da decifrare, anche nei calcoli fa piut-tosto fatica. È imbarazzato e continua a scusarsi, anche se io ovviamente evito di fargli pesare qualsiasi errore.
D’altra parte, come non capirlo? Ha passato tutta la sua vita a cercare unicamente di realiz-zare i desideri di persone egoiste. Quel secondo padrone di cui parlava non era solo cattivo e crudele. Era un bastardo di prima categoria. Gliene ha fatte passare di tutti i colori (e per quel che dice, non solo a lui) e lui ancora dice che era suo diritto!
Fortunatamente, dopo un paio d’ore, Phlox lo richiama in infermeria per alcuni esami di controllo. Finito il mio turno, io decido di raggiungere in palestra F’Ral, che mi ha proposto di fare stretching con lei, oggi, e lì trovo anche Archer e T’Pol.
In realtà non ho le forze per fare niente. Sono amareggiato e sfiancato.
F’Ral è a terra in una delle sue posizioni da contorsionista di strecthing statico, mentre T’Pol e Archer sono alle cyclette e stanno parlando di lavoro. Mi lascio cadere sul tappetino di fian-co a F’Ral.
«Stanco?» mi chiede T’Pol.
«Demoralizzato.» rispondo, restando prono.
Archer mi rivolge uno sguardo comprensivo…. ma allo stesso tempo c’è una vena di colpe-volizzazione. Non è che abbia torto. Ha lo stesso sguardo di quando sono rimasto incinto, anni fa, di Alheen, la Xyrilliana: ti sei voluto cacciare nei guai? Ora ne devi subire le conse-guenze.
Certo, se non avessi salvato Sirleney ora non sarei depresso per la sua situazione, ma lui sa-rebbe morto.
«Hai appena iniziato, non darti per vinto.» dice il capitano.
«Non so cosa potrò fare. Conta ancora sulla dita, non ricorda i simboli.» Sospiro.
«È presto.» insiste lui.
«Mi fa tornare in mente Jimmy, sai?»
«Chi è Jimmy?» chiede F’Ral, cambiando posizione.
«Era un ragazzo con un grave ritardo mentale che amava le astronavi. Io e il capitano siamo riusciti a farlo imbarcare come inserviente, principalmente si occupava delle pulizie e poco altro. Durante il viaggio nella Distesa un’anomalia è comparsa in sala macchine e lui è morto prendendola in pieno. Ha bloccato un flusso di radiazioni e così ha salvato la nave.»
La Caitian smette di fare stretching e mi abbraccia, iniziando a fare le fusa. 26 Hertz. Qual-che settimana fa T’Pol ha misurato la frequenza delle fusa di F’Ral: 26 Hertz, una frequenza che aiuta i tessuti a guarire.
Guarigione. Cura. Medicina. Ingegneria genetica. La Terra l’ha bandita, ma Denubola no. «Scusate.» Faccio una carezza tra le orecchie a F’Ral e mi congedo velocemente: devo parlare con Phlox.

(Phlox)

La fiducia del comandante Tucker nei miei confronti mi lusinga. A parte un breve periodo in cui era senza memoria, ha sempre dimostrato completa sicurezza nelle mie capacità medi-che. Non hai mai fatto questioni sulle procedure mediche, fidandosi sempre completamente. E in questo caso, ha più fiducia lui di quanta ne abbia io stesso.
Mi ha chiesto di trovare una “cura” per la condizione di Sirleney.
Certamente l’ingegneria genetica denobulana è più avanzata di quella terrestre e non ha su-bito divieti di legge che ne hanno bloccato lo sviluppo…. ma è, appunto, denobulana. Non è ingegneria genetica tessatta. Applicare i suoi principi su un alieno non è solo molto comples-so, ma direi praticamente impossibile con i mezzi di questa sola astronave.
«So che c’è un pianeta, Adigeon Primo, dove la Medicina è abbastanza avanzata da poter curare anche alieni. Ma è piuttosto lontano da qui.»
«Ma potrà ben fare qualche cosa.» insiste Tucker. «Doc, lei di sicuro ci può riuscire.»
Esito un istante, poi chiedo: «Ne ha parlato con Sirleney?»
Scuote la testa. «Volevo prima sapere se è fattibile.»
«Non ha mai pensato che forse Sirleney potrebbe non voler cambiare?»
Trip rimane in silenzio per qualche istante poi dice: «Sì, l’ho pensato.»
«E gli ordinerebbe di sottoporsi comunque alle procedure mediche, se lui non volesse?»
«No, ovvio che no!»
«Allora, non hai mai pensato che, forse, la cosa migliore è accettare Sirleney per quello che è?»
Il comandante esita. «Non è che io lo voglio cambiare. È solo che credo che…. la vita sareb-be più facile e bella, per lui, se fosse….»
«Normale?»
«Se fosse nato normale, non sarebbe diventato uno schiavo.»
Sorrido leggermente. «Non può cambiare il passato di Sirleney, signor Tucker. Nemmeno cambiando i suoi geni. Ma può garantirgli un bel futuro, anche se io non riuscirò a dargli buoni geni.»
Tucker annuisce. «D’accordo, doc. Ma farà un tentativo lo stesso?»
«Certo.»
Apparentemente soddisfatto, mi ringrazia ed esce dall’infermeria.
Io torno a guardare gli esami, ma purtroppo, la fisiologia di Sirleney è troppo aliena anche per me.

(Trip)

Sirleney è venuto con me in sala macchine. Si è portato una scopa e una paletta.
Dice che si trova a suo agio a pulire. È quello che il suo secondo padrone gli faceva fare più spesso e a lui va bene.
Mentre controllo che tutto fili liscio, un’occhiata al motore e due alle gondole appena revi-sionate, non posso fare a meno di ricordare quello che diceva Jimmy ogni tanto. Quello che gli ho sentito dire una volta mentre parlava a sua madre. «Sono importante qui. Lo dice il ca-pitano Archer, quindi dev’essere vero. Anche il comandante Tucker dice che ho un lavoro importante. Qualcuno lo deve fare. Io pulisco.»
Era diverso tempo che non ripensavo a Jimmy e il suo ricordo fa male. Fa male per come è morto, per l’inutilità della guerra…. per tanto altro.
Mi giro verso Sirleney. «Ehi. Vieni, ti faccio vedere una cosa.» Lui fa per seguirmi con scopa e paletta, ma io scuoto la testa. «Lasciali giù, dai.»
Saliamo sopra il motore. C’è un pannello di controllo a visione diretta, che di solito non a-priamo mai perché abbiamo i controlli digitali, ma da bambino ero piuttosto affascinato da quella visione, così penso (e ho ragione) che possa piacere anche a Sirleney. C’è una parte del motore in cui si può vedere il plasma che scorre, cambia colore, trasformandosi in un flusso iridato.
Come previsto, Sirleney rimane incantato a guardarlo.
Sono passati due giorni da quando ho fatto la richiesta a Phlox e ieri sera, quando sono pas-sato in infermeria, il medico mi ha riferito che per ora non ha trovato alcun modo di migliora-re la condizione di Sirleney. Dice che continuerà a studiarci, ma non nutre grandi speranze.
Ho guardato le mappe stellari vulcaniane assieme a T’Pol e abbiamo individuato Adigeon Primo. Purtroppo è fuori questione arrivarci, per ora, anche con l’aiuto di navi vulcaniane. T’Pol mi ha anche detto che ha il forte sospetto che suo padre sia andato su quel pianeta per farsi cambiare i connotati. Pare che sia un posto rinomato per l’altissima qualità della Medici-na.
«Comandante Tucker?»
Sento la voce di Rostov e mi alzo in piedi sul motore. «Che c’è?»
«Un sensore del collettore laterale di curvatura mi sta dando alcuni dati sballati.»
«Vengo a vedere.»
Scendiamo e Sirleney recupera scopa e paletta e si mette a pulire alla base del motore. Non credo che in realtà ci sia niente di sporco, per quel che ne so i filtri di pulizia funzionano alla perfezione. Ma lo lascio fare: gli dà sicurezza e lo fa star bene.
Rostov apre un pannello laterale e smonta il condotto secondario. «Condotto 114.»
«Sì, ok, lo vedo.» rispondo. «Sembra un….»
Non faccio in tempo a dirlo. Una cascata di antimateria si è avviata e per fortuna Rostov a-veva aperto il pannello laterale, così da interrompere il flusso. Altrimenti un pezzo del motore sarebbe andato a farsi friggere.
Un decimo di secondo dopo sentiamo il suono dello scoppio, come ci aspettavamo.
Quel che non ci aspettiamo è sentire un urlo e un tonfo.
«Sirleney!» urlo. Scendo in fretta e mi chino accanto a lui, svenuto a terra. «Chiamate Phlox!» Santo Sole, quest’uomo è sfortunato come ben pochi!
«Sto…. sto bene….» sussurra, riprendendo i sensi.
«Sì, sì, ma ora resta sdraiato. Tra poco arriva il dottore.»
«Ho combinato un guaio?»
«No, no, non sei stato tu.» lo tranquillizzo.
Arriva Kelly, che si è occupata di chiamare Phlox. «La scarica era abbastanza forte, l’ha pre-so a distanza.»
Gli prendo la mano delicatamente. È bruciata sul palmo. «Ti fa male?»
Lui annuisce leggermente.
«Ti è andata bene, tutto sommato.» dice Rostov.
Arriva Phlox e noi ci facciamo da parte. Tenere qui Sirleney non è una buona idea. Devo trovargli altro da fare. Il problema è…. cosa?

(T’Pol)

Sono le undici e otto minuti, quando entro in sala mensa. Trip è seduto sul fondo, a un tavo-lo vicino a un oblò, guarda fuori mentre sorseggia latte caldo.
«Camomilla calda.» ordino al distributore di bevande. Attendo che la tazza si riempia, poi mi avvicino a lui. «Posso sedermi?»
Lui mi sorride. «Certo.»
«Sei pensieroso.»
Sono passati due giorni dall’incidente in sala macchine. Beve un sorso di latte, quindi si gira verso di me. «Abbiamo davvero fatto bene a salvarlo?»
«Salvare una vita è sempre un bene, Trip. Non devi avere dubbi, su questo. Devi solo aver pazienza.»
Lui sorride tristemente. «Come ben sai, la pazienza non è una delle mie doti principali.»
“Se avesse la pazienza sufficiente per rimanere fermo anche solo durante la prima postura.” era stata la prima obiezione che avevo posto a Phlox quando mi aveva proposto di fare la neuropressione su Trip. Gli metto una mano sulla spalla. «Io credo che Sirleney sia felice ora. In fondo non è quello che conta?»
Lui guarda il latte nel bicchiere. «Basta davvero?» Mi guarda. «Voglio dire, nemmeno si ren-de conto di tutto il male che gli hanno fatto. Non è giusto.»
Bevo qualche sorso di camomilla. «Ricordi che ti ho detto che da bambina sono stata male?»
Trip annuisce.
«Era un problema genetico, che è stato risolto con una terapia lunga, ma che mi ha salvato la vita. Tornata a casa, sembravo diventata incapace di effettuare anche i calcoli più semplici. In certi momenti avevo la sensazione di essere di fronte a una matematica illogica scritta in una lingua aliena che non aveva nulla in comune con il Vulcaniano. Eppure erano semplici divi-sioni per due cifre. Ci ho messo tutta l’estate per recuperare. E ce l’ho fatta, sono tornata a scuola più brava di quanto non lo fossi prima di ammalarmi.»
«Con la terapia genica.» sussurra Trip.
Scuoto la testa. «La terapia genica mi ha guarito dal problema della produzione dell’enzi-ma.» Gli stringo la mano nella mia. «A portarmi ai livelli di competenza giusti è stato l’aiuto di mia madre. Ma abbiamo dovuto avere entrambe molta pazienza.»
Lui mi sorride. Annuisce. «D’accordo. Io aiuterò Sirleney. E cercherò di avere pazienza.»

(F’Ral)

Sono seduta di fianco a T’Pol, alla consolle scientifica. Ormai sono diventata praticamente indipendente nell’usarla, ma ogni tanto mi piace comunque stare qui, in plancia, a osservare T’Pol lavorare. Così imparo anche qualcosa di nuovo.
Sono sempre stata così nella vita, spesso ho imparato semplicemente osservando gli altri.
Stiamo andando solo a curvatura 2, perché Trip preferisce controllare i collettori bussard, con il nuovo airillio, per un po’ di tempo a bassa velocità.
Jonathan, Travis e Malcolm stanno parlando di un precedente viaggio del timoniere, quando era a bordo della nave dei suoi genitori.
Questa cosa delle navi familiari dovrei raccontarla su Cait. Lì è già tanto se un tuo parente ti viene a trovare su una stazione orbitale, figuriamoci imbarcarsi in due.
La tranquilla conversazione viene interrotta da un forte colpo che scuote la nave.
Archer preme velocemente il pulsante sul bracciolo della sua poltrona, mentre la nave ruota su sé stessa per mezzo giro ed esce di botto dalla curvatura. C’è sempre una sensazione sgra-devole quando ci si ferma così.
«Archer a sala macchine. Situazione.»
«Abbiamo perso la gondola di destra.» risponde Trip. Questo spiega perché ci siamo girati di 180°. «I sensori dicono che è saltato via un pezzo di airillio. Di nuovo.»
Sento un leggero sospiro da parte di T’Pol. «Dobbiamo andare a controllare.» dice. «Guar-diamarina F’Ral, a lei la consolle scientifica.»
Annuisco. Devo ancora abituarmici a questo fatto che mi chiamano con il mio grado e mi danno del lei, soprattutto a quest’ultima formalità, perché su Cait il “dare del lei” non esiste.
«Che cosa fai?» chiedo.
Non mi risponde, perché sta parlando con Archer: «La gondola è da ispezionare, andrò a far-lo con il comandante Tucker.»
Ricevuto il consenso del capitano, T’Pol svanisce nel turboascensore.
Non so perché, ma c’è qualcosa che non mi va giù. Ho quella sensazione che Trip chiama di dejà-vu. E non è che mi piaccia molto. Seguo le operazioni dei miei due amici sul monitor della consolle.
C’è qualcosa che non va. Il collettore bussard si increspa, si gonfia…. ed esplode. Posso solo rimanere a fissare i corpi carbonizzati di Trip e T’Pol che fluttuano nello spazio.
Poi un nuovo colpo scuote la nave. È una cascata di plasma! Siamo nella pupù! Partendo dalla gondola destra, una spaccatura incandescente apre in due la nave. L’Enterprise esplode e io non posso fare altro che urlare.
«MIAAAAAAAAAAAAAAAAAAAO!»

(T’Pol)

«’Vanti….» biascico. Sto dormendo, chi è che suona alla porta?
Alla mia risposta, entra una furia pelosa che si butta sul letto nel poco spazio che c’è tra me e Trip.
«Miao miao miao miao miao miao miao miao miao miao miao!»
«F’Ral!» esclama lui. «Cos’hai?!»
«Ho fatto un brutto sogno! Di nuovo!» si lamenta.
Mi giro verso di lei, sospirando. «Ancora che morivamo?»
«Sì, nella gondola, il collettore bussard esplodeva!»
«Destra o sinistra?» farfuglia Trip.
«Eh?»
«Quale dei due collettori?»
«Quello di destra.» F’Ral tira su col naso e sfrega la fronte contro la spalla di Trip. «Vabe’, state bene…. però è già la seconda volta che faccio questo sogno, è angosciante….»
«Domani controlliamo la gondola.» propone lui.
«Sì, buona idea.» E dato che so che sono circa le 6:00 e quindi tra poco dobbiamo alzarci, abbraccio F’Ral e la stringo delicatamente.
«Non dovrei rimanere qui.» dice.
«Sì, fa niente.» Appoggio la guancia tra le sue orecchie. «Faresti un po’ di fusa?»
«Certo.»
«Fai fatica a fare le fusa?»
«No, è come parlare.»
Certo, e F’Ral non fa nessuna fatica a parlare. Inizia a fare quel rilassantissimo suono che io amo profondamente. Pochi istanti dopo sento un leggerissimo rallentamento e una lievissima virata.
«Che succede?» chiede Trip.
Mi giro appena, premo l’interfono. «T’Pol a plancia. Situazione.»
«Fenomeno non riconosciuto a 1,08° sulla rotta, comandante.» mi risponde Donna O’Neill. «Il capitano Archer ha dato l’autorizzazione a virare per evitarlo. Ci passeremo di fianco.»
Chiudo la comunicazione e decido di godermi gli ultimi minuti a letto, ad ascoltare le fusa di F’Ral.

(Trip)

C’era una piccola crepa nel nuovo rivestimento di airillio del collettore bussard della gondo-la di destra. Non so come F’Ral abbia fatto a sognare quello che sarebbe probabilmente acca-duto se non ce ne fossimo accorti in tempo.
Lei e T’Pol sostengono che è una coincidenza, probabilmente F’Ral aveva visto, senza notar-lo consciamente, il problema nel rivestimento e così nel sogno è venuta a galla la preoccupa-zione. Non so, io non credo molto nelle coincidenze, ma non credo nemmeno nelle premo-nizioni.
In compenso, a proposito di sorprese, oggi ho trovato il nostro alloggio completamente ripu-lito e con le lenzuola cambiate. Sirleney si è preso l’incarico di dare una sistemata a tutti gli alloggi di coloro che volessero un aiuto (credo che solo Malcolm abbia declinato l’offerta), a rotazione su tutta la nave. Gli ho detto che, se aiutava i miei compagni di viaggio, era come se servisse me. A livello di pulizia non c’è molto da fare, i filtri della nave funzionano sempre bene, ma a livello di disordine personale…. be’, diciamo che non tutti sono ordinati come T’Pol. Penso che Sirleney avrà abbastanza da stare impegnato senza dover pensare troppo a come ancora può dirmi che sono buono. Anzi, penso che un giorno mi dirà: “mi fai fare un lavoro del cavolo, sei un gran stronzo”. No, per la verità non credo che potrà mai succedere. È già tanto se son riuscito a togliergli il vizio di inginocchiarsi tutte le volte che vede me o T’Pol.
Quando entro e vedo tutto risistemato, sorrido. Ovviamente dividendo l’alloggio con T’Pol non è possibile lasciare in disordine. Abbiamo trovato una via di mezzo, se ho qualcosa che non ho al momento voglia o tempo di sistemare lo nascondo da qualche parte, panca o ar-madio. Sirleney si è premurato di sistemare anche quelli.
Mi siedo sul letto.
«Signore.» Mi giro e lo vedo uscire dal bagno. «Ho appena finito.»
«Bravo, stai facendo un ottimo lavoro.» Fosse per me, penso, il tuo paradiso degli schiavi te lo saresti già completamente meritato. «Perché non riposi, ora?»
Lui annuisce…. ma invece di uscire e tornarsene nel suo alloggio, viene a sedersi per terra di fianco al letto. Mi sembra quasi un cucciolo in cerca di coccole dal padrone e io non ho il coraggio di dirgli di andarsene.
«È andato tutto bene, oggi?»
«Sì, signore. La signora Sato è stata così contenta che mi ha offerto dei biscotti. Erano molto buoni. E anche il signor Rostov è stato gentile, mi ha detto che ho fatto un lavoro eccezionale. Il dottor Phlox ha detto che domani posso aiutarlo a ripulire le gabbie dei suoi animali.»
Sorrido. Istintivamente gli metto una mano sulla testa e gli do una carezza sui capelli. Mi chiedo quanti anni potrebbe avere in termini umani. A spanne non più di diciotto o venti.
Lui appoggia la testa al letto, assecondando la mia mano. «Signore, crede che il signor Reed non voglia che io sistemi il suo alloggio perché ho fatto qualcosa di sbagliato?»
«No, stai tranquillo. Malcolm è una persona molto riservata. Mi ci sono voluti anni per riu-scire a conoscerlo un po’. È tutto lì, non ha niente contro di te. È l’unico?»
Annuisce, alza lo sguardo «Ho visto l’animale da compagnia del capitano. È un…. cane?»
«Sì, Porthos.» Mi vengono i brividi, quando mi rendo conto che Porthos è stato trattato me-glio di Sirleney. Ha sempre avuto cibo, coccole e un cuscino morbido in una cuccia comoda per dormire. È stato amato più di quanto non lo sia stato Sirleney. Non è giusto. Scivolo sul pavimento e mi metto a sedere di fianco a lui.
«È carino. Perché lui, Phlox, T’Pol e F’Ral sono unici sulla nave?»
«Be’, Porthos perché semplicemente è il cane del capitano. Mentre gli altri, si sono voluti imbarcare…. anche se non c’era nessun altro della loro specie. Si trovano bene, qui, si sono ambientati e a loro piace stare tra gli Umani.»
«Hanno ragione. Si sta bene.»
D’un tratto sento che c’è qualcosa che non va. Il rumore del motore non è normale. «Devo tornare in sala macchine.»
Lui mi sorride e annuisce. Io gli porgo la mano, ma lui mi guarda senza capire. «Ti do una mano ad alzarti.»
Rimane a bocca aperta per qualche istante, poi mi prende la mano e si alza.
«Ci vediamo dopo.» Mentre esco, con la coda dell’occhio lo vedo sistemare le coperte del mio letto, nel punto dov’ero seduto.

(T’Pol)

In sala macchine c’è il delirio completo. Trip sta urlando ordini alla sua squadra, che lavora freneticamente. Il motore è letteralmente impazzito, si è surriscaldato e diversi marinai devo-no continuamente spegnere fiamme e stare attenti a non venire bruciati dalle scintille.
Io sto cercando di capire cosa sia successo, al fine di trovare una soluzione.
Stavamo viaggiando a curvatura 2, quindi non ci dovrebbero essere problemi di surriscal-damento. Eppure, anche da Vulcaniana, posso dire che qui dentro fa un caldo pazzesco.
Sento un urlo e mi giro appena in tempo per vedere Rostov avvolto dalle fiamme. Premo l’interfono e chiamo subito l’infermeria. Quando riporto l’attenzione sullo schermo capisco quello che è successo: siamo entrati in un campo di microsingolarità. Alcune hanno colpito i collettori bussard e il nuovo rivestimento di airillio non ha retto, mandando il motore in so-vraccarico.
Mi giro: «Trip! È….»
Non faccio in tempo a dire nulla. Il motore in una frazione di secondo diventa una palla in-candescente di plasma, esplodendo con la forza di materia e antimateria che si scontrano non più bilanciate.
«TRIIIIIIIIIIIIP!»
Sento al sua voce. Sembra lontana.
«Eh, che c’è?»
Però, più che lontana…. assonnata. «Trip?»
Apro gli occhi e noto una luce azzurrognola. Dove sono?
«Sì, T’Pol, cosa c’è?» replica lui. Lo sento muoversi vicino a me.
La luce azzurrognola proviene dalle lampade di segnalazione sul pavimento del nostro al-loggio. «Stai bene?»
Lui mi guarda: «Io sì, ma tu? Che succede?» Mi accarezza i capelli.
Sospiro. Mi sdraio accanto a lui, appoggiandomi al suo petto. «Niente. Ho fatto un brutto sogno.»
Trip mi dà un bacio sulla fronte e mi circonda con un braccio. «Tranquilla, va tutto bene. Ne vuoi parlare?»
«Morivi. Investito dallo scoppio del motore di curvatura.»
«Se il motore di curvatura scoppia, moriamo tutti, salterebbe in aria la nave.»
«Vero.» Che strano, ho una particolare sensazione di dejà-vu.
«Che ore sono?» mi chiede.
«Le sei.»
«Possiamo dormire ancora un po’.»
«Sì….» Appoggio la testa alla sua spalla. Magari dormire senza sognare. Pochi istanti dopo sento un leggerissimo rallentamento e una lievissima virata.
«Che succede?» chiede Trip.
Mi giro appena, premo l’interfono. «T’Pol a plancia. Situazione.»
«Fenomeno non riconosciuto a 1,18° sulla rotta, comandante.» mi risponde Donna O’Neill. «Il capitano Archer ha dato l’autorizzazione a virare per evitarlo. Ci passeremo di fianco.»
Forse di tratta di un campo di microsingolarità. Be’, non importa, lo evitiamo. Chiudo la comunicazione e decido di godermi gli ultimi minuti a letto, ad ascoltare il battito del cuore di Trip.

(Trip)

All’inizio Sirleney non sembrava per niente contento di dover mangiare seduto a tavola con noi, ma su questo sono stato da subito intransigente. «No, Sirleney.» gli ho detto. «Tu non mangi seduto per terra. Non se ne discute proprio.»
E che vadano al diavolo tutti i suoi padroni!
So che sta male. So che non si sente a suo agio a stare seduto qui, con persone che lui repu-ta superiori, con camerieri, anch’essi “superiori”, che gli servono da mangiare come a noi, invece che attendere che qualcuno, mosso a pietà, gli passi qualche avanzo. No, è a disagio e si nota di brutto, ma deve abituarcisi.
Mi spiace un po’ per lui, per questo non lo invito spesso al nostro tavolo, lo lascio mangiare da solo, quando in mensa non c’è più nessuno. Ma ormai siamo molto lontani dal suo piane-ta, che ha lasciato per sua scelta – anche se è stata una decisione piuttosto obbligata.
Ci sediamo per fare colazione.
Sirleney tiene lo sguardo basso, evita di guardare il capitano. Più volte mi ha fatto capire che lui è il *mio* servitore e quindi prima di prendere un qualsiasi ordine da qualcun altro, deve avere il mio permesso. Però verso Archer ha una sorta di soggezione. Forse perché io prendo ordini da lui.
«Puoi bere il latte?» chiedo.
«Credo di sì, signore.» sussurra.
«Lo bevevi?»
Annuisce leggermente.
«Bene.» Ordino la colazione per entrambi. «Non è detto che si possa continuare a bere latte, dopo che si è smesso di bere quello materno.» Nell’istante in cui mi esce quest’ultima parola, vorrei prendermi a randellate in testa. Sospiro. «Scusa, Sirleney. Non volevo.»
Lui mi guarda senza parlare.
«Voglio dire….» Ecco, ora peggiorerò la situazione. «Forse è doloroso, per te, parlare di ma-dri.»
«No, signore. Ovviamente non ricordo la mia genitrice.»
«Ovviamente?»
«Essere genitori di un servitore è un grave disonore.»
Perché non radiamo al suolo Tessat? Ah già, certo, non sarebbe molto corretto verso i servi-tori.
«In che senso?»
Archer mi lancia uno sguardo di traverso. Sì, ha ragione, sembra che io stia rigirando il col-tello nella piaga. Però è probabile che dovrò vivere a stretto contatto con Sirleney per diverso tempo, è meglio conoscersi bene. E lui non sembra in realtà farsi molti problemi.
«Siamo frutto dei nostri genitori, signore. Siamo inferiori per una loro mancanza, genetica o comportamentale. Per questo ci allontanano il prima possibile.»
A quel punto, il capitano interviene: «E dove vi mandano?»
«In case di crescita per servitori.» Ovvero: orfanotrofi dell’orrore. «Ma io sono stato fortunato, avevo solo quattro anni, quando il mio primo padrone mi ha comprato. Era molto buono, an-che se non quanto il signor Tucker.»
«C’è qualcosa in particolare che ti piacerebbe fare, Sirleney?» gli chiede Archer. «Intendo, al di là del servitore.»
Lui scuote la testa. «No, signore. Io sono nato per questo.»
L’interfono trilla e Archer si alza subito a rispondere. È O’Neill: «Abbiamo rilevato un siste-ma solare a dritta. Non è sulle mappe.»
«Andiamo a vederlo da vicino.» ordina il capitano. Torna a sedersi. «Chissà, magari è un bel posticino per fare un po’ di campeggio.»

(T’Pol)

Non è un bel posto per fare campeggio. Nel sistema solare non c’è traccia di curvatura, ci sono un paio di satelliti artificiali spenti e in decadimento intorno al quinto pianeta, sul quale ci sono tracce di una civiltà che sembra scomparsa per un inverno nucleare.
«Le rovine sembrano interessanti.» dice il capitano. «C’è ancora radioattività?»
«No.» rispondo. «I livelli di radioattività sono sotto la soglia di pericolo.»
Il pianeta, però, è ancora in gran parte ricoperto da una spessa coltre di nuvole. Ingrandisco un edificio largo. «Credo che questo sia il luogo dell’esplosione nucleare. Per le analisi che posso fare a questa distanza, credo che si trattasse di una primitiva e rudimentale istallazione per lo studio della curvatura.»
«Molto interessante. Bene, sbarchiamo.»
Reed interviene: «Capitano. Credo che sia meglio far scendere una squadra di sicurezza.»
Archer non mi sembra molto entusiasta dell’idea, ma acconsente. «Tenente Reed, guardia-marina Sato e un paio dei suoi uomini con me, Navetta Uno tra venti minuti. Andremo ad analizzare il centro abitato.» Poi torna a rivolgersi a me: «Lei e Tucker scenderete con la Na-vetta Due e tre uomini della squadra di Malcolm. Voi analizzerete l’impianto di curvatura.»
Venti minuti dopo stiamo partendo dall’hangar di lancio. Con Trip al timone, mentre la Na-vetta Due lascia la nave, mi accorgo che la Navetta Uno non è partita.
Sfilo il comunicatore dalla tasca: «T’Pol a Capitano Archer. Qualche problema?»
«Sì, la Navetta Uno sta facendo qualche capriccio. Non aspettateci, vi raggiungiamo sul pia-neta tra poco.»
«Hai bisogno del capo ingegnere?» chiede Trip.
«No, ce la caviamo da soli. Archer chiudo.»
«Comandante, prevedete problemi?» mi chiede il marinaio Scanrie. È uno dei nuovi acquisti della squadra di Sicurezza, salito a bordo l’ultima volta che l’Enterprise ha fatto tappa sulla Terra.
«No, ma il tenente Reed pensa sia meglio avere una squadra di sicurezza al primo sbarco su un pianeta nuovo.» Osservo per qualche istante i tre uomini della Sicurezza e mi accorgo che sono tutti e tre nuovi acquisti, Scanrie, Raynes e Manuels. Probabilmente Archer ha deciso di mandare loro, non essendoci pericoli e volendo concedere un po’ di attività ai nuovi arrivati.
«Ci siamo.» dice Trip, mentre atterriamo di fronte a quello che doveva essere il portone di ingresso all’istallazione.
Scendiamo. L’aria è fredda, non gelida, ma ha una temperatura un po’ bassa per i miei gusti. La luce è fioca, la penombra avvolge l’edificio come se stesse per scatenarsi una tempesta.
Estraggo l’analizzatore e confermo che i livelli di radioattività non sono pericolosi.
«Entriamo.» propone Trip e lo seguiamo.
Purtroppo è rimasto ben poco. L’esplosione ha distrutto la parte centrale del complesso.
«Questi dovevano essere computer.» constata Raynes.
«Sì, è possibile.» confermo. L’analizzatore riesce a captare poco.
«Non credo che sia stato solo questo posto, quando è esploso, a provocare l’inverno nuclea-re.» dice Trip. «Alcune attrezzature sono ancora riconoscibili.» Indica di fronte a sé. «Credo che quella sia una camera per il contenimento dell’antimateria.»
Vi giro intorno e poi salgo su una passerella per controllarla meglio.
«Vado a vedere il reattore.» mi comunica Trip.
«Non dividiamoci.» ordino, ma lui è già svanito oltre la porta sul fondo. Sospiro. «Signor Scanrie, vada con lui.»
Estraggo il comunicatore. «T’Pol a capitano Archer.»
La comunicazione è disturbata, ma lui mi risponde. Sono ancora a bordo, il problema alla Navetta Uno si è rivelato peggiore di quello che credeva all’inizio.
«Devo rimandare a bordo il capo ingegnere?» chiedo. Trip mi odierà.
«No. Finite l’osservazione, poi scenderò con Hoshi per la parte abitativa.»
Fosse per me finirei l’osservazione ora. Questa gente si è messa a “giocare col fuoco”, come dicono gli Umani, e non si è scottata, ma arsa viva. Mi dispiace per loro, ma purtroppo si di-rebbe che sia troppo tardi.
Scendo dalla passerella e mi dirigo, con i due uomini della sicurezza, verso la porta sul fon-do. Trip e Scanrie non sono in vista.
Estraggo il comunicatore. «T’Pol a Tucker.»
Nessuna risposta.
«T’Pol a comandante Tucker.» insisto. «T’Pol a marinaio Scanrie.»
Mi guardo in giro: non ci sono altre uscite. L’unica è la porta da cui siamo entrati.
Reprimo il panico, quando la domanda che mi sorge spontanea è “dove diavolo sei, Trip?”.

(Trip)

Sorpassata la porta noto quello che sembra un rudimentale, molto rudimentale, scheletro di un motore a curvatura.
«Ha un che di spettrale.» bofonchia Scanrie.
«Non è l’unica cosa qui intorno.» Cammino fino ad arrivare sul retro del motore. «Se inter-preto in modo corretto l’architettura del motore, il problema è qui. Il deflettore del plasma è messo in posizione errata.»
«Tira a indovinare?»
Lancio uno sguardo fulminante a Scanrie. Io che tiro a indovinare sui motori?! Lui non sem-bra farci caso.
«Secondo me stiamo solo perdendo tempo.»
Tra un po’ lo strozzo. Ma non faccio in tempo a pensarci troppo, perché, con la coda del-l’occhio, vedo qualcosa muoversi.
Mi giro, ma non scorgo nulla. «L’ha visto?»
«Che cosa?»
«Ho visto qualcosa muoversi.»
«Forse si sta facendo impressionare dall’atmosfera inquietante.» Fa una risatina.
«No. Sono praticamente sicuro che….»
Non riesco a finire la frase, perché un forte dolore alla testa inghiottisce nel nero tutto ciò che ho intorno.

(T’Pol)

«T’Pol a Trip. Rispondimi. Trip. Dove sei?»
Ora sto davvero per andare in panico. Perché non mi rispondono, né lui né Scanrie?
Ho fatto il giro di quello che si potrebbe definire lo scheletro di un motore a curvatura non riuscito, anche se al momento non so e non mi interessa sapere perché invece di funzionare abbia arrostito l’intero complesso.
«Raynes, Manuels!» chiamo. «Avete scoperto qualcosa?»
«No, signora.» mi risponde Raynes. «Il guardiamarina F’Ral ha provato a scansionare la zona, ma non ha trovato altri segni di vita a parte i nostri.»
«Dove diavolo sono finiti Scanrie e Tucker?» chiede Manuels.
«Mi piacerebbe saperlo.»
«Propongo di tornare alla navetta.»
Rimango un istante a riflettere. «Sì, d’accordo.»
Se si sono persi, è giusto pensare che tenteranno di tornare alla navetta.
Lascio che i due uomini entrino, quindi io mi siedo sul pavimento all’apertura del portellone e chiamo Archer. La comunicazione è piena di statico e qualche parola si perde. Il capitano mi comunica che la Navetta Uno è fuori uso almeno fino all’intervento di Trip e che F’Ral sta scansionando nuovamente la zona alla ricerca di segni di vita umani. Intanto Rostov è pronto con il teletrasporto in caso di emergenza.
Mi alzo in piedi e lancio un’occhiata all’interno del complesso. Come hanno fatto a svanire così senza che nessuno di noi se ne accorgesse?
Non faccio in tempo a pensare, perché sento un rumore di passi, veloci, ma al tempo stesso strascicati. È Scanrie.
«Rapporto.» ordino subito.
«Gli alieni!» esclama lui. Ha un taglio sulla fronte e si tiene il braccio sinistro con la mano opposta, come se gli facesse molto male.
«Di che cosa sta parlando? Qui non ci sono alieni.»
«Dobbiamo andarcene! Sono nascosti nel sottosuolo e ci vogliono morti!»
Trip.
«Dov’è il comandante Tucker?»
«Credo che sia con loro!» Scanrie sale sulla navetta. «Dobbiamo andarcene!»
«Non prima di aver recuperato il comandante Tucker!»
«Io…. credo che sia morto.»
Mi blocco per un istante, quindi ordino: «Andiamo a cercarlo.»
«Lei è pazza!» Scanrie sale sulla navetta, poi si rivolge ai compagni. «Dobbiamo salire subito, hanno detto che se non ce ne andiamo, distruggeranno la nave.»
«Comandante?» chiede Raynes.
«Come hanno fatto a parlarle, Scanrie?»
«Telepaticamente. Ma ora che c’entra?!»
«Raynes, venga con me. Manuels, resti qui con Scanrie.» Inizio a correre verso il boschetto spettrale che ha invaso la parte a destra dell’istallazione, nella direzione dalla quale è arrivato Scanrie. Non riesco a mettere assieme tutti i pezzi, non capisco cosa possa essere successo.
Devo ritrovare Trip, a costo di rimanere su questo pianeta per tutta la vita!
Sento un rumore noto e quando mi giro indietro, vedo la Navetta Due in volo, ormai alta nel cielo. «Raynes!» chiamo. Ma il marinaio non c’è. Non ho idea se sia stato rapito anche lui o se sia in volo nella navetta. A questo punto non mi importa. Cerco di percepire il mio le-game con Trip, per riuscire a capire dove possa essere.
Corro nel bosco, prima o poi troverò qualcuno o qualcuno mi troverà. Basta ritrovare lui.
Il terreno cede sotto i miei piedi di botto e io inizio a cadere. Sbatto contro rocce e tronchi, finché finalmente mi fermo alla base di un grosso tronco nerastro. Mi ci vuole qualche secon-do per riprendermi e per capire che quella corsa è stata impulsiva e stupida…. ma mi ha por-tato al mio obiettivo.
Sopra di me c’è il muro posteriore del complesso di curvatura e lì, ai piedi di un dirupo, c’è Tucker.
Cerco di alzarmi in piedi, ma le gambe mi fanno un male indicibile, quindi avanzo a carpo-ni. Anche le mani e la braccia mi fanno male, ma ignoro il dolore. Devo essermi spezzata di-verse ossa. Non importa. Raggiungo Trip, steso su un fianco. Ha una grossa ferita dietro la te-sta. È di sicuro grave e profonda.
«Trip.» Un sussurro inutile, so che non mi può sentire, né rispondere.
Mi sdraio davanti a lui e lo abbraccio. «Trip, ti prego…. svegliati.»
Ma lui non reagisce. Nella migliore delle ipotesi è in coma.
Lo bacio sulle labbra, quindi estraggo il comunicatore e chiamo l’Enterprise.
Mi risponde solo statico.

(Reed)

Quando dalla Navetta Due scendono solo Scanrie e Manuels, chiedo subito dove sia il resto della squadra di sbarco.
Scanrie mi risponde in modo incoerente, non capisco cosa voglia dire.
«Siamo stati aggrediti.» comunica Manuels, mentre supporta il compagno con un braccio. «Gli alieni si erano nascosti sottoterra.»
«E gli altri?»
«Aggrediti. Probabilmente morti.»
«Non è possibile.» esclama Hoshi. «Il pianeta non è abitato.»
«Lo è eccome!» esclama Scanrie.
«Lo porti in infermeria.» ordino a Manuels.
Lui annuisce, ma purtroppo di lì a pochi secondi scopro che non ha obbedito al mio co-mando.
Scanrie si fa portare in sala macchine, dove, con un congegno che gli hanno fornito gli alie-ni, manda in sovraccarico il nucleo di curvatura. È Kelly a comunicarcelo, all’interfono, men-tre Rostov e altri cercano inutilmente di rimediare al danno.
Sento in sottofondo la voce di Scanrie che urla: «Gli alieni me l’hanno ordinato. La curvatura è pericolosa, se non distruggo il nucleo loro ci uccideranno tutti, come hanno fatto con Tu-cker!»
Non faccio nemmeno in tempo ad inviare una squadra di sicurezza in sala macchine. Il so-vraccarico è peggiore di quello che, forse, si aspettava anche Scanrie.
L’Enterprise intera diventa una palla infuocata rossa e arancione.
Mi tiro a sedere di scatto e cerco convulsamente il pulsante per accendere la luce sopra il letto. Mi alzo in piedi e faccio qualche passo nervoso per la stanza.
Non mi succede spesso di sognare e comunque di solito non ricordo i sogni. Questo era e-stremamente realistico e angosciante. Guardo fuori dall’oblò e non vedo nessun sistema sola-re, ma noto, dalle stelle fuori dal mio oblò, che stiamo effettuando una correzione di rotta.
Mi siedo al computer e controllo. Sì, una piccola correzione a 1,28°. Ci sarà stato qualcosa di strano. Scorro i dati e noto un sistema solare a poca distanza. Dovremmo raggiungerlo nel pomeriggio.
Se il capitano proporrà di scendere, mi opporrò a mettere nella stessa squadra di sbarco Scanrie, Raynes e Manuels. Che poi, se ricordo bene, sono stati proprio loro tre a cercare di ribellarsi all’invasione dei Ventica. Cosa che ha portato me e Trip ad essere attaccati dagli uc-celli draghetti nella simulazione.
Sospiro. Guardo l’ora: sono le 6:00. Se chiamassi Trip e T’Pol, per sapere se è tutto a posto, non credo che la prenderebbero molto bene. Però erano proprio loro due i primi a morire nel mio sogno.
«No, calmati.» sussurro a me stesso.
Insomma, era solo un sogno. Però c’era qualcosa di particolarmente inquietante.
Alle 7:20 sono in mensa, ho già finito la colazione e attendo che Trip e T’Pol arrivino. Li vedo entrare insieme, ormai nessuno se ne stupisce più. Sparecchio il mio vassoio, quindi mi avvicino al loro tavolo.
«Buongiorno.» saluto.
«Tenente.»
«Ehi, Malcolm. Mangi con noi?» Trip mi fa cenno di prendere posto di fronte a lui.
«Ho già fatto colazione.» Io mi siedo. «Scusate la domanda strana, ma…. va tutto bene? Vo-glio dire, state bene?»
Si scambiano uno sguardo fugace, poi Tucker risponde: «Non sei la prima persona che ce lo chiede stamattina. Sì, stiamo bene, ma….»
«Ma?» incalzo.
T’Pol continua: «Abbiamo sperimentato entrambi una forte sensazione di dejà-vu. E anche altri membri dell’equipaggio sostengono di aver già vissuto alcuni momenti.»
«Pensate che ci sia qualcosa di strano?»
«Non ne abbiamo le prove.» mi risponde lei.
In quel momento Archer ci chiama tutti e tre in sala tattica.
«Teniamo gli occhi aperti.» concludo, prima di andare via.
In sala tattica Archer ci mostra l’immagine di una luna. Nel sistema solare non c’è niente di interessante: giganti gassosi e pianeti rocciosi troppo piccoli per trattenere un’atmosfera. L’u-nica cosa degna di attenzione è questa piccola luna, su cui ci sono i resti di una navetta.
Cerco di ricordare l’incubo di questa mattina. Non mi pare ci fosse una luna. Mi scrollo di dosso l’idea.
«Trip, Malcolm, T’Pol. Prendete una navetta e le tute EVA. Controllate il relitto, cercate di capire cos’è successo.»
«Sì, capitano.» rispondo. Vista la natura della missione, direi che non è il caso di portarsi die-tro altri uomini della sicurezza.

(Trip)

Il capitano mi ha detto di dare un’occhiata alla Navetta Uno, prima di sbarcare sulla luna. In effetti ho trovato un’avaria al motore che avrebbe impedito di decollare.
«Ci vorranno un paio di ore per sistemarlo. Possiamo scendere con la Navetta Due.»
«No, preferisco avere una navetta di scorta.»
Non capisco di preciso tutta questa cautela da parte sua, mi chiedo se abbia a che fare con gli incubi e i dejà-vu che questa mattina sembrano essere ricorrenti sull’Enterprise.
Dopo circa un’ora e mezza che sto lavorando sulla navetta con la mia squadra, quando or-mai abbiamo quasi finito le riparazioni, entra nell’hangar Sirleney, accompagnato da Scanrie.
«Signore, ha insistito per voler venire qui.» commenta l’uomo della sicurezza.
Sirleney abbassa lo sguardo. «Mi perdoni, signore.»
«No, non c’è problema.» Congedo Scanrie, quindi faccio cenno a Sirleney di venire a sedersi di fianco a me. «Sei arrivato giusto in tempo per darmi una mano a finire qui.»
Lui mi lancia uno sguardo che vuol dire: “non ti è ancora bastato tentare di insegnarmi qual-cosa senza riuscirci?”. Ma obbedisce e si siede.
«Signore…. si dice che stiate per sbarcare su un luna.»
«Sì, appena la Navetta Uno sarà di nuovo in ordine. Non manca molto.» Noto il suo sguardo infelice. «Ehi, guarda che mi piace sbarcare. E poi mica mi trasferisco giù a vita, staremo lì giusto il tempo per dare un’occhiata e poi torniamo.»
A quel punto alza lo sguardo e di scatto mi dice: «Non vada, per favore.»
«Perché, Sirleney?»
«Non lo so.» ammette.
«È una missione senza pericoli. Scenderò con Malcolm e T’Pol. La luna non è abitata e non ci sono tracce di civiltà nelle vicinanze.»
Non sembra per niente convinto, ma sa che non può farci molto. «La prego, stia attento.»
Annuisco. Gli metto una mano sulla spalla, un gesto che per lui è qualcosa di straordinaria-mente carico di affetto. «Quasi dimenticavo. Ho parlato con Malcolm, stamattina, e mi ha det-to che, se non ti pesa, potresti dare una sistemata al suo alloggio. Non te l’ha chiesto perché pensava di darti troppo lavoro. E poi perché è così di carattere.»
«Con piacere, signore.» mi risponde.
«Allora vai.»
La frase “Uno è lieto di poter servire”, da “L’Uomo Bicentenario” di Asimov mi rimbalza nel-la mente. Solo che Andrew Martin, almeno all’inizio, era un robot.
Finiamo di riparare in breve la navetta, quindi io, T’Pol e Malcolm, indossiamo le tute EVA, saliamo sulla Navetta Uno (così la testiamo) e partiamo.
Sono al timone, così posso sentire meglio come va il motore: tutto a posto. Il lavoro è stato solo un po’ lungo, ma direi che la navetta è tornata in ottimo stato.
Planiamo sopra la superficie lunare, arrivando nel luogo dove abbiamo individuato i resti di un relitto, ed atterriamo. Indossiamo il casco, quindi usciamo.
La luna è piuttosto piccola, quindi ha una gravità inferiore che ci fa camminare più spedita-mente. Qualsiasi cosa si sia schiantata sulla luna, è stata fatta a pezzi ed è rimasto davvero poco da esplorare.
«Deve essere arrivata ad alta velocità.» constata T’Pol. «La gravità non è abbastanza forte da giustificare da sola una tale distruzione e questa dispersione dei detriti.»
Malcolm estrae l’analizzatore. «Non riconosco la tecnologia. Comandante T’Pol?»
«No, nemmeno io.»
«Be’, per lo meno non è patragana.» dico.
T’Pol si china tra i detriti. «Probabilmente era solo una capsula di salvataggio. Magari espul-sa per sbaglio, non trovo materiale biologico…. c’è una debole traccia di energia là.»
Seguiamo T’Pol e la aiutiamo ad alzare un pezzo di paratia. In realtà non si fa per niente fa-tica, viste le dimensioni e la gravità ridotta. Sotto c’è un parallelepipedo intatto.
«È la scatola nera.» dice Malcolm.
«No, è grigia.» replica T’Pol, prendendola in mano.
Reed mi lancia uno sguardo: “diglielo tu, va’.”
«Per scatola nera si intende il dispositivo elettronico di registrazione dei dati per il controllo in caso di incidente.»
T’Pol raccoglie la scatola, quindi si gira verso di me. «Perché nera? Quella dell’Enterprise è arancione brillante, quelle delle navi vulcaniane sono verde acceso.»
Io scrollo le spalle. Prendo la scatola dalle mani di T’Pol, che conclude: «Direi che questa è l’unica cosa interessante. Possiamo tornare a bordo.»

(T’Pol)

Memori del nostro primo incontro coi Ferengi, io e Trip stiamo controllando la “scatola ne-ra” ancora infilati nelle tute EVA. Non ci sono scritte, né sulla scatola, né sui resti che abbia-mo trovato sulla luna. Il fatto che non ci fossero tracce biologiche ci rassicura solo in parte: su una luna senza atmosfera, un corpo si sarebbe conservato, ma è anche possibile che sia stato recuperato.
«Non riconosco il materiale.» comunico, guardando il mio analizzatore. «È una lega scono-sciuta.»
Trip sta cercando il modo di aprirla. Sembra un blocco unico, ma prima di tagliarlo, cerca altre opzioni. Che naturalmente trova. Uno dei lati scorre, anche se a fatica. Lo apre di pochi centimetri, poi si blocca. «Non si vede praticamente niente, all’interno.»
Io mi avvicino a lui e guardo all’interno. «Sembra che ci sia una serpentina o qualcosa del….» Mi blocco, quando noto un leggero vapore uscire dalla fessura.
«Che cos’è?» chiede lui.
Io lo analizzo, ma scuoto la testa.
Il vapore continua a uscire e velocemente avvolge tutta la scatola: le saldature e le giunture si liquefanno, aprendo completamente la scatola di fronte ai nostri occhi.
«Cos’è successo?» La voce di Archer ci fa alzare lo sguardo. È comparso al di là della fine-strella di controllo e ci parla attraverso l’interfono.
«Un qualche tipo di solvente aereo ha sciolto le giunture.» spiego. Prendo di nuovo in mano l’analizzatore, ma prima di poter fare qualsiasi cosa, avviene uno scoppio.
Un leggero, minimo scoppio, niente di spaventoso, ma che ci fa sussultare tutti. Altro sbuffo di vapore.
«È una scatola nera o no?» insiste Archer.
Riprendo in mano l’analizzatore, ma mi blocco. I guanti della mia tuta si stanno sciogliendo. «Trip!» esclamo e lo spingo lontano dal tavolo. Ma è troppo tardi: anche i suoi guanti si stanno sciogliendo e non solo quelli. Le nostre tute EVA si stanno sfaldando.
«Subito nella camera di sicurezza!» esclama Archer e noi non ci pensiamo due volte.
Appena dentro iniziamo a toglierci gli ultimi pezzi delle tute.
«Stai bene?» gli chiedo.
Lui annuisce. «Tu?»
«Sì.» Lascio cadere a terra l’ultimo pezzo di tuta, quindi mi avvicino a lui e controllo la sua pelle. «Trip….» sussurro. No, non può essere.
«Cosa?»
«Hai…. una lesione. È sulla spalla.»
Lui si gira e cerca di guardarsi la schiena.
«Sei pieno….» sussurro. «Hai la pelle completamente ricoperta di escoriazioni.»
«Non sento dolore.» Poi mi guarda: «Anche tu.»
Mi guardo le braccia: si stanno formando bolle e ferite, anche se più lentamente che su Trip.
Quando la porta si apre, entrambi esclamiamo: «No! Fuori, chiudete!»
Ma è Phlox, con due infermieri, tutti in tute EVA. È evidente che hanno preso tutte le pre-cauzioni per evitare il contagio, ma mi domando se siano sufficienti. Il medico ci passa accan-to un tricoder.
Non fa in tempo a dirci nulla, prima che Trip inizi a vomitare. Lo prendo sotto le spalle e lo conduco nella stanzetta attigua, dove ci sono due letti. Faccio appena in tempo a far sdraiare Trip, che pure io inizio a vomitare.
Percepisco vagamente la voce del capitano in sottofondo che chiede cosa stia succedendo.
«Credo un’intossicazione da gas neuroblastico e un virus sconosciuto.» spiega Phlox. «Filtra-te l’aria il più velocemente possibile.»
Mi lascio cadere, mettendomi seduta a terra, di fianco al letto di Trip.
«Comandante, dovrebbe mettersi sull’altro letto.»
«No. Starò qui.» sussurro e prendo la mano di Trip.
Poi alzo lentamente lo sguardo su Phlox e mi rendo conto di una cosa terrificante: non solo la sua tuta EVA si sta sgretolando come la nostra…. persino la porta alle sue spalle, quella che dovrebbe rendere sicuro il resto dell’Enterprise, si sta sfaldando….

(Archer)

Ho letteralmente visto le bolle e le lesioni spuntare sulla pelle di Trip e poi, poco dopo, an-che su T’Pol. Mi sono spostato alla finestrella della camera di decontaminazione, appena in tempo per vederli iniziare a stare ancora peggio, fino a lasciarsi andare entrambi, sfiniti, a quelle che temo saranno le inutili cure di Phlox.
Ma il medico non fa in tempo a mettere nulla in pratica. La sua tuta EVA e quella degli in-fermieri viene corrosa come una scultura di sabbia dal mare…. e anche loro tre iniziano a sta-re male.
Nemmeno il fisico vulcaniano di T’Pol resiste.
Poi vedo le porte a chiusura stagna sfaldarsi. Faccio chiudere le paratie di emergenza, in-trappolandomi all’interno con i cinque malati. O almeno questo è quello che speravo. Persi-no le paratie di emergenza non reggono. Qualsiasi cosa ci fosse all’interno della scatola, sta divorando l’Enterprise.
Finirà tutto in pochi minuti…. cerco di mandare un messaggio per avvertire del pericolo, ma non so né se il messaggio raggiungerà mai qualcuno, né se è almeno partito dalla nave.
Mi lascio cadere sul pavimento. Ormai è finita. Il mio intero equipaggio è condannato a una morte terribile. Poi i resti dell’Enterprise entreranno in orbita di decadimento e si schianteran-no sulla luna…. e forse il ciclo ricomincerà con un altro equipaggio.
Il mio ultimo pensiero è rivolto a F’Ral. Povera piccola Caitian, certa di imbarcarsi in una bella avventura, la prima della sua specie…. Mi dispiace, tesoro.
Mi lascio andare…. stanco, senza più forze.
Qualcosa disturba il mio stentato riposo.
È una voce.
«O’Neill a capitano Archer.»
Sei viva O’Neill?
Apro gli occhi e sento un naso bagnato premersi contro la mia faccia. «Buono, Porthos.» sus-surro, mi giro e accendo la luce. Com’è che sono finito a letto? Nel mio alloggio?
Premo l’interfono. «Qui Archer.»
«Capitano, abbiamo identificato un’anomalia non riconosciuta sulla nostra rotta.»
Mi tiro a sedere, grattando Porthos dietro le orecchie. «È vicina?»
«Ci arriveremo in due ore.»
«No. Cambiate rotta, evitiamola.»
«Sissignore.»
Qualsiasi cosa sia, dopo quell’incubo non sono in vena di incrociarla. «Ci sono sistemi pla-netari su questa rotta?»
«No, signore. Ma con la variazione ne abbiamo evitato uno. Vuole che deviamo per rag-giungerlo?»
«No, no. Fa niente, ne troveremo altri. Archer chiude.»
Mi alzo. Non ho più sonno. E devo assolutamente vedere i due comandanti. Mi lavo e mi vesto velocemente, quindi mi dirigo subito verso il loro alloggio. Suono il campanello e, a un assonnato “avanti”, entro.
Tucker è sdraiato sulla schiena, mentre T’Pol è sul fianco sinistro, accoccolata contro di lui.
Lei apre gli occhi. «Capitano.» dice, un po’ stupita. Si mette a sedere.
«Scusate.» dico.
«Pensavo fosse F’Ral.» Trip si stira e anche lui si mette a sedere. «Avrai mica fatto un brutto sogno?» mi chiede.
Mi avvicino al letto. «In effetti sì.»
Si scambiano uno sguardo.
«Che c’è?» chiedo.
«C’è qualcosa che non va.» Trip si tira in piedi. «Incubi ricorrenti in cui io e T’Pol siamo i primi a morire e poi l’Enterprise esplode. E poi fortissime sensazioni di dejà-vu.»
Anche T’Pol si alza.
«Tutti in sala tattica. Chiamo Malcolm.» dico, quindi esco.
Hanno ragione: tutto questo è già avvenuto. E più di una volta.

(Reed)

Entro in sala tattica e trovo già diverse persone sedute. Su ordine del capitano, ho recuperato dati e analisi. Appoggio il PADD sul tavolo e mi siedo.
«Rapporto.»
«Non ci sono segnali oggettivi che siamo entrati in un loop temporale.» Passo il PADD al capitano. «Se non il cambio di rotta. Per qualche motivo non ci siamo accorti che abbiamo virato di quasi quattro gradi rispetto alla rotta iniziale.» È un cambiamento trascurabile, su una rotta esplorativa dell’ignoto.
«Conosciamo il motivo delle variazioni di rotta?»
È T’Pol a rispondere a quest’ultima domanda: «Forse è sempre stata un’anomalia che abbia-mo evitato, ma le analisi a lungo raggio hanno rilevato solo l’ultima, quella individuata questa mattina. Ma l’attuale rotta, come diceva il tenente Reed, si discosta di quattro gradi da quella originaria.»
«Quindi abbiamo fatto questa correzione più volte, ci siamo imbattuti lo stesso in un’anoma-lia, siamo tutti morti e siamo tornati indietro nel tempo?» chiede Tucker. «Solo a me suona vagamente assurdo?»
F’Ral alza la mano a mezz’aria. «Anche a me. Però le sensazioni di dejà-vu sono davvero forti. Insomma, io avevo già sognato in passato che voi due morivate, ma solo voi due e poi praticamente tutti sulla nave hanno queste sensazioni.»
Phlox interviene: «Dalle analisi mediche che ho effettuato su diversi membri dell’equipag-gio, posso dire di aver riscontrato in tutti un forte affaticamento delle neocorteccia. Non so ancora di preciso a cosa possa riferirsi in questo quadro, ma di sicuro è un dato che devo te-nere d’occhio.»
«Hoshi, è riuscita a mettersi in contatto con il Comando di Flotta o con avamposti vulcania-ni?»
Sato scuote la testa. «Siamo troppo lontani dai ripetitori e l’ultimo che abbiamo piazzato il mese scorso è andato in avaria.»
«Quindi non sappiamo nemmeno se il tempo si sta ripetendo solo sull’Enterprise o se nel frattempo l’universo va avanti.» constato. Il capitano ha ritenuto opportuno fermarci e ora stiamo fluttuando nel vuoto interstellare.
Il campanello della porta ci fa girare tutti. È raro che qualcuno suoni alla sala tattica: o sei invitato e quindi entri senza suonare, o non entri.
«Avanti.» risponde Archer.
Entra Sirleney. «Perdonatemi l’intrusione.» dice, chinando la testa.
«Siamo piuttosto impegnati, Sirleney.» gli risponde Trip.
«È urgente, signore.»
«Che cosa?»
«Dovreste lasciare questa sala.»
Ci guardiamo tra di noi. «Che cosa intendi?»
«Ora, per favore!» esclama.
Non facciamo in tempo a dire altro. Trip e T’Pol sono seduti dando le spalle a un oblò. E proprio in quell’oblò appare improvvisamente un lampo di luce, come un piccolo strappo di curvatura. Ne esce quello che sembra un missile.
«FUORI!» urlo.
Ma non c’è nulla da fare. Il missile colpisce la fiancata della nave e, di nuovo, Trip e T’Pol muoiono per primi. Non passa che una frazione infinitesimale di secondo che uccide anche me e nemmeno un secondo dopo, attraversata la nave, colpisce il motore a curvatura.

(T’Pol)

Mi tiro a sedere di scatto sul letto, il mio respiro è affannoso. Mi giro verso Trip, anche lui si è svegliato. Ci scambiamo un’occhiata veloce, poi insieme diciamo: «È successo ancora.»
Due ore dopo siamo di nuovo in sala tattica. Archer ha ordinato di cambiare la rotta di dieci gradi per star più tranquilli.
Abbiamo rifatto tutte le analisi possibili e immaginabili, abbiamo tentato di comunicare con chiunque, ma senza successo.
Il capitano ordina di tornare ai nostri posti e di tenere gli occhi aperti per qualsiasi possibile avvisaglia.
Per questo, quando noto una leggera fluttuazione nei valori di curvatura, vado in sala mac-chine e salgo sulla passerella, da dove Trip mi sorride. «Mi sembra che ci siamo tirati fuori dal loop, che ne dici?»
Gli porgo il PADD. «Che ne dici di questi valori?» Io sono brava a fare i calcoli e nella teoria a bordo sono la migliore, ma nella tecnica e nella pratica non c’è nessuno che batte Trip.
Lui dà un’occhiata ai dati. «Sì, ma non vedo le fluttuazioni dalla diagnostica diretta.» Indica sullo schermo. «No, aspetta, stanno comparendo ora…. è come se….»
Eccola. La tempesta ionica appare all’improvviso, investe la nave, impalla il computer e il motore a curvatura va in sovraccarico.
Come guardiana sto facendo davvero un pessimo lavoro, visto quante volte è morto. Anche ora, di nuovo, i primi a morire siamo Trip ed io.

(Trip)

«Ma che cazzo!» esclamo e mi accorgo di aver urlato un po’ troppo. Mi giro verso T’Pol, rannicchiata accanto a me e sveglia. «Scusa. Ti ho svegliata.»
«Non importa. Mi stavo comunque destando.» Mi mette una mano sul volto. «Non possiamo andare avanti così.»
«In realtà non subendone le conseguenze, non è un grosso problema.»
«Ho paura che arriverà una ripetizione che non ci farà tornare indietro.»
Lei annuisce. «Sala tattica.»
Là ci rimettiamo a discutere con gli altri sull’accaduto, ma tutto quel che diciamo ci sembra già detto e ridetto.
«Quante volte l’abbiamo rifatto?» chiede Hoshi.
«Se ci basiamo sulla rotta, ci siamo spostati di quindici gradi. Un decimo di grado per volta vuol dire centocinquanta ripetizioni dello stesso giorno.» risponde T’Pol.
«Potrebbero essere meno.» obietta Archer. «Questa mattina ho ordinato di cambiare la rotta di due gradi, se l’ho fatto in altre ripetizioni, possiamo essere nel loop da sette o otto volte.»
Malcolm sospira: «Ma se qualche volta non ha ordinato nessun cambio, potremmo aver ripe-tuto lo stesso giorno, con lo stesso tipo di disastro, per decine e decine di volte.» Ecco Reed l’ottimista.
«Siamo riusciti a risalire all’ultimo giorno che non si è ripetuto?» domanda Archer.
«Non di preciso.» comunica T’Pol. «Ma credo sia stato uno o due giorni dopo la nostra di-scesa su Tessat.»
«Le gondole di curvatura sono in grado, tramite il motore, di manipolare lo spazio.» inter-viene F’Ral. «Se per qualche ragione l’airillio che abbiamo applicato proprio in quei giorni stesse agendo in qualche modo anche sul tempo?» Fa un gesto come per buttare via le sue parole. «Lo so, è fantascienza.»
«Lo era anche il motore a curvatura, fino a un secolo fa.» ribatte Archer. «Trip, tu e la tua squadra controllate di nuovo i collettori bussard. Malcolm, T’Pol, passate in rassegna tutte le informazioni che riuscite a recuperare sul loop, in qualunque modo. Vagliate anche i pettego-lezzi.»
Mi alzo per andare a fare il mio lavoro. In corridoio incrocio Sirleney.
«Signore, posso parlarle?»
«Non ora, Sirleney, mi dispiace. C’è un’emergenza in corso. Parleremo dopo.»
Lui mi prende delicatamente il braccio. È la prima volta che inizia un contatto fisico. Mi fermo e lo guardo stupito. «Sta succedendo qualcosa di brutto.»
«Di cosa parli?»
«Non lo so di preciso. Ma è qualcosa di brutto.»
Gli metto le mani sulle spalle. «Stiamo cercando di capire cosa succede. Io ora devo andare in sale macchine.»
Lui mi rivolge uno sguardo disperato. «Ma signore….»
«Per favore, Sirleney, se hai qualcosa da dire, se ne stanno occupando Malcolm e T’Pol.»
«Ma io devo occuparmi di lei!»
Mi fermo: «Di cosa stai parlando?»
«Io…. non lo so di preciso, signore. Ma….»
Questa volta non so cosa vada storto.
So solo che sono il primo a schiattare, T’Pol è la seconda e poi viene, anzi se ne va, il resto dell’equipaggio.

(F’Ral)

«No, pupùdicane, non ancora!» urlo.
Mi alzo di scatto e, in pigiama, esco. Non sono l’unica in corridoio, anche se forse sono l’u-nica in pigiama e a piedi nudi.
Parlo con un po’ di gente: abbiamo avuto tutti la stessa esperienza: l’Enterprise è esplosa e siamo tornati indietro nel tempo.
Dopo qualche minuto, raggiungo Trip e T’Pol.
«Avete qualche informazione in più?»
«No, ma più si va avanti e più ricordiamo.» constata T’Pol. «Sembra che la nostra memoria del loop non si cancelli.»
«Andiamo in sala tattica.»

(Trip)

Apro gli occhi. Il soffitto del nostro alloggio ha una tinta azzurrognola, nell’alone appena accennato delle luci di segnalazione sul pavimento. In realtà è grigio. È un po’ tutto grigio, sull’Enterprise, come avevano fatto notare le Orioniane a Malcolm.
Magari in futuro le navi saranno più colorate.
«Trip.»
«Che ne dici se rivestiamo le paratie di azzurro?»
T’Pol si mette a sedere e mi guarda: «Siamo tornati indietro di nuovo.»
«Magari un bel turchese intenso.»
Lei mi lancia uno sguardo severo: «Ti sembra il momento di pensare a dipingere l’alloggio?»
«Certo, è il momento perfetto: se finito il lavoro ci fa schifo, basta attendere che la giornata ricominci. Magari un giallo melone? O un rosa albicocca.»

(T’Pol)

Apro gli occhi e guardo subito Trip. «Giallo melone.» rispondo.
«Abbiamo ripreso di nuovo da capo, eh?»
Mi alzo e premo l’interfono: «T’Pol a capitano Archer.»
«Qui Archer.»
«Propongo di fermare subito la nave. Forse guadagneremo qualche ora per riuscire a capire cosa sta succedendo.»
Lo sento sospirare. «Concordo. A rapporto in sala tattica, se facciamo in tempo.»
Mezz’ora dopo siamo (di nuovo) in sala tattica. Il tenente Reed ha insistito perché io e Trip ci sedessimo con le spalle alla paratia invece che all’oblò.
«Che cos’è cambiato da quando questa storia è iniziata?» chiede Archer.
«La rotta.» risponde Reed.
«Il rivestimento di airillio dei collettori.» dice F’Ral.
«Li abbiamo già ricontrollati?»
«Almeno quattro volte.» rispondo.
«Aspettate.» interrompe Trip. «C’è un’altra cosa che è cambiata: è arrivato Sirleney a bordo.»
«E cosa c’entra Sirleney?» chiede Reed.
Trip resta un istante in silenzio, poi continua: «In una delle ripetizioni…. credo, almeno…. Sirleney mi ha detto che lui deve occuparsi di me. Quando era su Tessat è stato condannato alla morte disonorevole, che secondo il suo credo gli avrebbe fatto perdere il diritto al paradi-so, perché il suo padrone era morto e lui non era riuscito a salvarlo.»
«Sì.» replica Archer. «Ma questo cosa c’entra? Stai dicendo che Sirleney sta facendo in modo di rivivere più e più volte la tua morte per…. per il disonore?»
«No, non credo….» risponde Trip. «Ma c’è qualcosa che va a posto….» Si alza e preme l’in-terfono. «Tucker a Sirleney. Vieni subito in sala tattica, ho bisogno di parlarti.»
Non passa nemmeno un minuto che il Tessatto entra. Forse era già nei paraggi. Appare inti-midito.
«Siediti.» Trip lo accompagna gentilmente a una sedia vuota, dove Sirleney si siede eviden-temente a disagio. «Devo chiederti una cosa. Stai tranquillo, qualsiasi cosa mi dirai nessuno si arrabbierà. Ma devi rispondermi sinceramente. Hai qualcosa a che fare con il loop tempora-le?»
Lui scuote la testa, agitato. «No, signore. Io lo percepisco vagamente, ma non saprei dire come succede.»
Credo sia sincero. Ma credo anche che Trip abbia ragione: c’è Sirleney dietro tutto questo. Lo fa senza rendersene conto. «Sirleney.» intervengo. So che la mia autorità per lui è parago-nabile a quella di Trip. «Sappiamo che non sei tu che fai esplodere la nave.»
«No, signora, non sono io.»
«Sei tu che fai ricominciare tutto da capo?»
Lui abbassa lo sguardo. Poi inizia a parlare, agitato: «Non lo so…. io non credo di avere que-sto potere…. ma la prima volta che ricordo in cui il signor Tucker è morto…. io ho pregato tanto la Divinità perché mi desse un’altra occasione.»
«E ne stai avendo parecchie di altre occasioni.» dice Reed.
«Ma nessuna sta funzionando!» esclama lui, poi abbassa lo sguardo. «Mi dispiace, mi dispia-ce!»
Non credo che ci sia un intervento divino. Non so spiegarlo, ma credo che dipenda tutto e solo da Sirleney.
In ogni modo, questa volta la testata nucleare non arriva dall’oblò, ma dall’alto, proprio so-pra Trip e me.

(Trip)

Non ho idea di quante volte abbiamo ripetuto il colloquio con Sirleney, fatto sta che ormai sono convinto che ci sia lui dietro al loop temporale, anche se inconsciamente.
Siamo fermi nello spazio, stiamo controllando ogni centimetro della nave.
«Trip.» T’Pol indica sul monitor. «Questa è la crepa nei collettori bussard che ha individuato F’Ral. Si è riformata, anche se non è ancora grossa.»
«A spanne, non può portare alla distruzione della nave.»
«No, se non entriamo in un campo di microsingolarità.»
«Appunto.» Rimaniamo qualcosa come quindici ore a fissare i monitor.
Questa volta non sembra succedere niente.
Cingo T’Pol con un braccio e la tiro verso di me. Lei appoggia la testa alla mia spalla.
Rimaniamo così per altri minuti, finalmente un po’ più tranquilli.
Sbadiglio.
«Vai a dormire, ci penserò io qui.»
«No…. Vado a prendermi una tazza di caffè. Lo vuoi anche tu?»
T’Pol annuisce. La bacio sulla tempia, quindi mi alzo ed esco.
Scopro Sirleney, in piedi vicino alla porta. «Ehi.»
«Signore. Posso fare qualcosa per lei o per la signora T’Pol?»
«No, vado a prendere il caffè, ma ho bisogno di sgranchirmi le gambe, quindi vado io.»
«Posso venire con lei?»
Annuisco. Perché no? In fondo forse non c’è più pericolo.
Camminiamo per qualche minuto, poi sento un ronzio strano. Corro al primo interfono che trovo. «Tucker a T’Pol. Rapporto.»
«C’è un flusso energetico in aumento. Si sta formando un sovraccarico nei relè d’impulso…. Trip! Una scarica ha colpito il collettore di curvatura, c’è una cascata di antimateria.»
Se raggiunge il reattore di curvatura siamo morti.
Mi metto a correre giù per il corridoio, sento Sirleney subito dietro di me. M’infilo in un’a-pertura laterale, in corrispondenza della quale, al ponte superiore, c’è la parte laterale del mo-tore. Non c’è tempo per salire in sala macchine, devo operare da lì. Apro il portello di ispe-zione e tiro la conduttura verso di me. Devo disconnetterla, è l’unico modo che ho da qui di impedire alla cascata di raggiungere il motore.
Non ci penso e tiro, ma so che è pericoloso.
«NO, SIGNORE!» urla Sirleney.
Poi non faccio caso ad altro. Nel mio corpo si spande di colpo un bruciore così intenso che non riesco più a ragionare e nemmeno a respirare.

(Archer)

La cascata di plasma si è fermata. Non so quale miracolo abbia fatto Trip questa volta, ma in qualsiasi caso, gli darò un premio. Non lo propongo per una promozione solo perché lo per-derei come ingegnere.
Il problema è che non risponde alle mie chiamate. Ho ordinato a una squadra di cercarlo, ma intanto mi ritrovo da solo in un corridoio dove c’è odore di bruciato.
Mi metto a correre quando capisco quello che è successo. Trip dev’essere intervenuto diret-tamente sul condotto tramite il portello di ispezione inferiore.
«Trip!» chiamo, ma lui non mi risponde. Quando mi avvicino, le mie paure sono conferma-te. Chiamo subito l’infermeria senza attendere altro.
Appena arrivati lì, Trip riapre gli occhi. È evidentemente frastornato e fatica a respirare. La-scio spazio a Phlox e agli infermieri Garver e Stepanczyk.
In questo momento mi rendo conto che l’Enterprise è ancora intera. Che non siamo tornati indietro nel tempo.
Il respiro di Trip è roco, secco. Scoppia a tossire, cercando inutilmente di tirare il fiato.
Garver dice: «Non reagisce.»
Phlox ordina a Garver di dargli un medicinale, il sintosurfattante.
Urlo: «Allora?!»
«Il plasma era rovente.» mi risponde il Denobulano. «Ha termalizzato i polmoni.» Si gira ver-so Stepanczyk: «Attiva la camera iperbarica.»
«C-capitano….» tenta di dire Tucker. Mi avvicino a lui. «Non stiamo….» Fa fatica a parlare. Immagino che gli bruci la gola, la trachea, i polmoni, tutto….
Gli metto una mano sulla spalla. Gli sorrido. «Sta’ tranquillo. Ti riprenderai.»
Solo che proprio in quel momento inizia ad ansimare violentemente. Non riesce più a respi-rare. Sento un segnale acustico. Proviene dal terminale sopra il letto. Credo che sia qualcosa di preoccupante e sono un po’ spaventato.
«Nella camera, presto!» urla Phlox, e ora sono spaventato del tutto.
Assieme a Stepanczyk e Garver, sollevo Tucker di peso dal lettino.
«Svelti!»
Velocemente, il lettino ergonomico viene spinto verso l’apertura della camera iperbarica. Trip si sforza di alzarsi di qualche centimetro, sempre senza respirare, sorride e mi lancia una strizzatina d’occhio.
Rispondo al suo sorriso e lo accompagno finché la porta della camera iperbarica si chiude ai suoi piedi. Scambio un’occhiata preoccupata con Phlox.
Poi attendo.
Non c’è altro da fare se non aspettare. Trip guarirà o il giorno riprenderà da capo? O niente di tutto ciò?

(Trip)

Sento vagamente il mondo tornare ad esistere intorno a me. Apro gli occhi, lentamente. C’è una luce soffusa, ma non è quella azzurrognola dell’alloggio.
Ho la vista distorta, tutto sembra immerso in uno strato di acqua.
Cerco di mettere a fuoco, ma non cambia nulla.
Sento dolore.
«Ciao.» È la voce di T’Pol.
Entra nel mio campo visivo, anche la sua immagine appare distorta, come fosse sul fondo di una piscina.
«Che cosa….?»
«Hai salvato la nave.»
Sento un fruscio leggero, come di plastica che viene sollevata e capisco cos’è quella distor-sione nella vista: sono sotto una tenda di plastica trasparente. «Phlox ha detto che posso stare qui, dato che mi sono lavata accuratamente.» Si siede alla mia destra sul bordo del letto, così piano e leggera che quasi non la sento.
«Ma….?» La mia voce è roca e mi fa male a parlare. Da bambino una volta ho avuto un mal di gola terribile. Non riuscivo a deglutire nemmeno la saliva. Per farmi mangiare, mia madre mi aveva comprato otto diversi gusti di gelato, che andavano giù lisci come l’acqua fredda su un’ustione. Rocky road escluso. Ho la stessa sensazione.
«Hai staccato il condotto inferiore del plasma, lo ricordi?» Mi mette una mano sulla mia de-stra.
«Sì….»
«Hai salvato la nave, ma la cascata ti ha preso in pieno. Ti ha termalizzato i polmoni e bru-ciato la pelle. Ma Phlox è riuscito a curarti. Devi restare sotto la tenda per l’ossigeno per qualche giorno, per aiutare i tuoi polmoni a ripararsi, ma la terapia rigenerativa ha fatto effet-to.»
Alzo leggermente la mano. «Mi brucia…. mi….»
«Ti brucia la pelle?»
«Già….» Percepisco vagamente bende sul torace e sul lato sinistro della faccia.
«Passerà, Phlox si è dovuto concentrare sui polmoni, prima, ma anche la pelle è a posto. Ci vorrà tempo, ma ti riprenderai completamente.»
«E il loop?»
«Ne siamo fuori. Phlox ti ha tenuto sedato per due giorni, data l’entità delle tue ferite.»
Chiudo gli occhi e sospiro, poi all’improvviso mi ricordo…. «Sirleney!» esclamo, per quel che riesco. Faccio per alzarmi, ma la mano di T’Pol e il dolore intenso mi fanno ricadere in-dietro sul letto. Emetto un gemito di dolore.
«Trip, non….»
«T’Pol!»
«Sirleney è morto. Crediamo che ti abbia spinto via appena in tempo per salvarti la vita, ma si è trovato in mezzo alla cascata mentre arrivava al suo apice.»
«No!» esclamo. «Non può essere! Non l’ho salvato perché morisse pochi giorni dopo!»
Giro la testa verso sinistra, non riesco a trattenere le lacrime.
T’Pol si sdraia delicatamente accanto a me e mi mette una mano sulla spalla.
«Non è giusto.»
«No, non lo è.» sussurra lei. «Ma se ti può consolare, Sirleney è morto per salvarti e, così, se-condo il suo credo, ha compiuto il suo destino ed è nel suo paradiso.»
Rimango in silenzio per qualche secondo. «Ha sofferto?»
«Phlox crede che si sia accorto che stava morendo, ma non ha sofferto per più di pochi mi-nuti.»
Mi giro verso di lei, che mi asciuga le lacrime col palmo della mano.
«Anche Jimmy….» sussurro. «Anche lui è morto per salvare me.»
«Lo so che è dura.»
Annuisco. È successo anche a lei. Resto in silenzio per qualche minuto, poi ammetto: «Mi fa male tutto.»
«Vuoi che chiami Phlox? Posso chiedergli di darti un antidolorifico.»
«No. No, non fa niente.» Mi giro verso di lei e appoggio la guancia destra alla sua testa. «Dove siamo? Voglio dire…. che zona e tempo?»
«Abbiamo appena superato la nebulosa V’Ktar, abbiamo contattato un avamposto vulcania-no: non abbiamo perso giorni.»
«Ci stiamo dirigendo là?»
T’Pol annuisce. «Il capitano vuole un completo check up della nave.»
«Può farlo anche la mia squadra.»
«Phlox non ha stabilito quando ti dimetterà, quindi non sappiamo ancora quando potrai tor-nare al lavoro.»
«Immagino.» Sospiro. «Sai che quel che è successo, quando mi sono ustionato e, dopo, in in-fermeria…. è un po’ inquietante, ma assomiglia molto alla mia esperienza di premorte.»
«A volte credo che ci siano cose che ancora non comprendiamo.» dice lei. «Pensa al “sogno” di F’Ral: credevamo fosse una coincidenza, qualcuno parlava di preveggenza caitian, poi ab-biamo scoperto che si trattava di un loop temporale.»
«Il che è ancora più strano che il settimo senso caitian.» Sento tirare la pelle sul collo e mi sfugge un gemito.
T’Pol alza lo sguardo. «Se vuoi, un po’ di neuropressione può aiutarti col dolore.»
«No, mi basta che tu stia qui, se hai tempo.»
Mi dà una leggera carezza sulla guancia destra. «Ho tutto il tempo che vuoi.»

(T’Pol)

Phlox ha dimesso Trip dopo due giorni. Ha detto che i polmoni hanno risposto perfettamen-te alla cura e ormai non c’è più bisogno che resti sotto la tenda per l’ossigeno. Anche le u-stioni sulla pelle sono perfettamente guarite.
Guardo l’orologio. Siamo in ritardo per la serata cinema.
Busso alla porta del bagno, lui è lì dentro da diversi minuti. «Trip?» Apro lentamente la porta e lo trovo in piedi, di fronte allo specchio sopra al lavabo, con soli i boxer indosso (Phlox gli ha rimosso tutti i bendaggi).
Le cicatrici dove Phlox ha innestato la pelle che ha coltivato in vitro, per riparare le ustioni, spiccano bianche e contorte.
«Ehi.»
Trip non mi guarda, rimane a fissarsi allo specchio.
Gli metto una mano sulla guancia e lo obbligo a girarsi verso di me.
«Sono orribili.»
Mi alzo sulla punta dei piedi e lo bacio sulle labbra, risparmiate dal plasma.
«Trip….»
«No, non dirmi che si notano appena.»
«No, al contrario. Si vedono benissimo. Sono molto evidenti.» Gli passo una mano sulla guancia sinistra, dove si vede perfettamente la linea di sutura che deturpa il suo bellissimo volto. «Ma Phlox ha detto che sarà solo questione di pochi giorni, prima di poter iniziare a togliertele e poi, dopo qualche trattamento, spariranno del tutto.»
«Forse dovrei tenerle.» sussurra. «Così posso ricordarmi di Sirleney tutte le volte che mi guardo allo specchio.»
«La decisione spetta a te. Ma non serve che tu debba soffrire psicologicamente per le cicatri-ci, per ricordarti di lui.»
Lui mi guarda. «Mi vuoi così?»
«Trip, tu sei l’uomo più bello e affascinante che io abbia mai conosciuto, adoro il tuo aspetto fisico, ma se mi fossi innamorata solo per quello, sarei caduta ai tuoi piedi tre anni prima.»
Lui ride leggermente. «Quindi non ti importano?»
Scuoto la testa. «Se questi segni ti fanno soffrire perché rovinano la tua bellezza, non c’è mo-tivo di tenerli. Ricorderai Sirleney, così come Jimmy, e come io ricordo Miekel.»
Annuisce. Di lì a qualche giorno si sarebbe fatto cancellare le cicatrici come proposto da Phlox e io, naturalmente, non avrei posto obiezioni.
Mi abbraccia delicatamente. «Il film deve essere già iniziato.»
«Già. Serata cinema privata?» propongo.
«Va bene.» Non ha voglia di vedere altre persone. È comprensibile. Trip non è un tipo vani-toso, ma è naturale che si possa sentire a disagio, sotto gli sguardi di altre persone. Domani tornerà a lavorare, ma sarà diverso. In sala macchine è il comandante Tucker, non l’amante del cinema Trip.
Mentre ci infiliamo a letto, il film dimenticato, dentro di me penso che, in ogni caso, è stata una fortuna che il plasma non abbia rovinato i suoi bellissimi occhi.
«Hai qualche ipotesi sul perché del loop?» mi chiede.
Gli passo delicatamente un dito sulla mandibola. «Niente di preciso. Forse nel suo incidente in sala macchine, Sirleney ha in qualche modo acquisito la capacità di modificare il tempo, senza però rendersene conto. Voleva salvarti, ma in ogni ciclo temporale i suoi tentativi an-davano a vuoto, così ricominciava da capo. Finché poi è riuscito a salvarti, ma solo a costo di sacrificare sé stesso, azione che comunque gli garantiva il paradiso, secondo la sua fede.»
Resta in silenzio per qualche minuto. «Pensi che ci sia un paradiso, T’Pol?»
«Non lo so. Però se esiste, Sirleney è lì.»
Annuisce. «Mia nonna materna era una persona religiosa. I miei genitori credevano che i fi-gli dovessero essere lasciati liberi di cercare un proprio credo. Mia nonna rispettava questa idea, ma aveva deciso di presentarci comunque la sua fede, perché non si può scegliere, sen-za conoscere. Così ci portava in chiesa, ogni tanto, e a catechismo. Non è che io mi ricordi molto di quegli incontri, sinceramente, anche perché poi mia nonna si è trasferita in Australia da mia zia e quindi la nostra educazione religiosa è finita nel nulla. Ma mi ricordo una storia. Era una di quelle storie per bambini, narrata con personaggi fantastici per attrarre l’attenzione. C’era questo leprotto che un giorno fa amicizia con un pupazzo di neve.» Mi guarda e sorride leggermente. «È una storia di fantasia, come ti dicevo.»
«Vai avanti.»
«I due sono amici, anche se sono molto diversi. Il pupazzo è un tipo che si muove poco, un po’ pigro, mentre il leprotto è sempre in movimento. Un giorno il leprotto si ferisce grave-mente al fianco. Il pupazzo sa che se non farà nulla, il suo amico morirà. Così si mette sopra al leprotto, in pieno sole, e inizia a sciogliersi…. l’acqua fredda cade sulla ferita e la cicatriz-za. Il leprotto così si salva….»
«….E il pupazzo muore.» concludo.
Trip annuisce.
Lo bacio sulle labbra e poi ci stringiamo in un abbraccio forte.
Forse, se c’è uno schema in tutto questo, anche Sirleney era designato guardiano di Trip ed ha compiuto il suo destino. Quando ci abbracciamo e ci lasciamo andare l’uno all’altra, mi dico che anch’io, se ce ne sarà bisogno, farò quel che ha fatto lui, per salvare Trip.
Nella mia mente risuona una canzone dolce, probabilmente arrivata lì dall’interazione tele-patica tra noi due.
“Combatterei per te, mentirei per te, camminerei sul filo per te, attraverserei il fuoco per te, morirei per te. Tutto ciò che faccio, lo faccio per te.”

FINE

Dedicato a mia Madre

e a Enya, che mi sta dando tantissimo amore, e che,

in qualche modo, mi ha salvato la vita

ancora prima di nascere.

Un grazie a Franz per il titolo e a Lara per il betareading!

Miekel, principe del pianeta Kiepel (pessima scelta di nomi, lo so), muore per salvare T’Pol nel mio racconto “I Naviganti 19: The Men From the Sun”.
La canzone è “(Everything I Do) I Do It For You” di Bryan Adams.

Ispirazione per questo racconto sono stati gli episodi “Monday” di X-Files e “Cause and Effect” di Star Trek: The Next Generation.

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Pubblicato 28 settembre 2015 da MicioGatta in Enterprise, fanfic, I Naviganti, Star Trek

Una risposta a “I Naviganti 33: Il Giorno di Sirleney (racconto su Star Trek: Enterprise)

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